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 2015  marzo 04 Mercoledì calendario

Internet ultraveloce, nessuno spegnimento forzato della rete in rame e lo Stato è pronto a investire 6 miliardi da qui al 2020. Il resto ce lo devono mettere i privati

Niente switch off della rete in rame ma l’atteso piano di investimenti sulla fibra da 6 miliardi, incentivi alla «migrazione» verso le nuove infrastrutture e un rinvio, quello dell’introduzione del servizio universale. È la sintesi delle mosse deliberate dal Consiglio dei ministri che si è riunito ieri in serata per affrontare il piano per la banda ultralarga.
Com’era ormai emerso nelle ultime ore, la bozza di decreto preparato dal vicesegretario di Palazzo Chigi, Raffaele Tiscar, in cui si parlava espressamente di uno spegnimento della rete in rame di Telecom entro il 2030 (il cosiddetto progetto Ring, da Rete Internet di nuova generazione) è rimasta lettera morta sulla scrivania del ministero dello Sviluppo economico dov’era approdata. Il governo ha invece deliberato il piano di investimenti da 6 miliardi di euro che utilizza sia fondi europei sia fondi italiani per approdare agli obiettivi dell’Agenda europea 2020 che dovremo rispettare anche noi. In particolare due miliardi sarebbero a fondo perduto mentre altri 4 miliardi verrebbero anticipati attraverso la Banca europea degli investimenti.
«La banda ultralarga – ha detto il premier Matteo Renzi dopo il consiglio – è l’abc». «Il nostro Paese – si legge nel documento del governo messo in consultazione pubblica – parte da una situazione molto svantaggiata che ci vede sotto la media europea di oltre il 40 punti percentuali nell’accesso a più di 30 Mbps (megabit al secondo) e un ritardo di almeno 3 anni». Rispetto al documento iniziale il governo ha ridotto gli obiettivi di raggiungimento dell’85% della popolazione con almeno i 100 Mbps, portandolo vicino al 50%, dunque più vicino a quelli che sono gli obiettivi già previsti dagli operatori privati grazie agli investimenti messi a bilancio da qui al prossimo anno. «Se i 6 miliardi pubblici avranno un effetto moltiplicativo con altrettanti investimenti privati – ha specificato il sottosegretario, Graziano Delrio – l’Italia potrà superare gli obiettivi europei» al 50% della popolazione coperta con i 100 Mbps. La copertura del territorio avverrà con la divisione in 4 cluster e aree geografiche che vanno da quelle a successo di mercato fino a quelle a fallimento sicuro, dove cioè l’investimento in un’ottica pubblica di riduzione del digital divide diviene necessario.
Dal punto di vista tecnologico si va dal Ftth, il Fiber to the home, cioè la fibra fino a casa, fino alla copertura con i ponti radio. Si tratterà ora di implementare il piano e dargli un’anima. Sullo sfondo rimane l’operazione per dare una forma alla società delle reti di nuova generazione che sembrava poter partire con l’accordo, sfumato pochi giorni fa, tra Metroweb e Telecom Italia. Il nodo rimane il controllo. Il riverbero dello scontro è giunto fino al governo che ha messo in cantina lo switch off, cioè lo spegnimento della rete in rame, partorendo la «migrazione». È questo il termine della diplomazia renziana e circolato negli ambienti a lui vicini per rendere più commestibile a Telecom l’idea di una trasformazione della sua rete.
Il numero uno di Vodafone Italia, Aldo Bisio, ieri ha ribadito la volontà del gruppo inglese di volere investire in una società pubblico-privata con precise garanzie sul controllo (che non dovrebbe essere, per Vodafone, né di Telecom né di Cdp). L’ultima ipotesi a circolare è quella di una newco – non, dunque, Metroweb. Ma la partita è aperta. Proprio per questo il premier Matteo Renzi avrebbe preferito per ora rinviare l’introduzione del servizio universale per le connessioni a Internet, probabilmente per tenerlo come arma nella trattativa con Telecom.