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 2015  febbraio 27 Venerdì calendario

Se Fed e Bce vanno per strade opposte. Janet Yellen è pronta ad accelerare la stretta del credito negli Stati Uniti: una decisione che provoca incertezza e instabilità sui mercati mondiali

L’ipotesi che la Fed possa attuare prima della prossima estate il primo aumento dei tassi dal 2006 ha motivazioni economiche deboli, ma ragioni politiche molto forti.
La presidente Yellen fa intendere di essere disposta ad abbandonare la politica monetaria ultra-espansiva finora messa in atto, coerente con le preferenze dei Democratici, pur di riuscire ad attenuare le crescenti pressioni che i Repubblicani stanno esercitando perché non solo cambi radicalmente l’atteggiamento della politica monetaria, ma le stesse regole del gioco che governano l’azione della banca centrale Usa. Pur di difendere gli ampi poteri di cui oggi gode, e di non dover sottostare a regole di condotta, la Yellen è disposta a far credere di essere disposta – e forse lo è davvero – a rendere la politica monetaria più severa prima del previsto. Un giro di valzer che provoca incertezza e instabilità, tossine per i mercati e l’economia. Un modus operandi che è agli antipodi del modello di condotta che caratterizza la banca centrale europea e la sua politica monetaria, appena ribadita dal presidente Draghi.
La politica monetaria della Yellen continua ad essere allergica alle regole di politica monetaria. Ma questo la rende estremamente vulnerabile ai venti della politica, essendo la Fed una banca centrale priva di un preciso mandato. L’obiettivo della Fed, così come è oggi interpretato, è quello di perseguire allo stesso tempo la crescita economica e la stabilità monetaria; alla politica monetaria si danno almeno due obiettivi di pari importanza, senza dimenticare che taluno vorrebbe addirittura aggiungerne un terzo, rappresentato da una non meglio definita stabilità finanziaria. Più sono gli obiettivi, più è facile giustificarsi se non li si raggiunge, soprattutto se l’indipendenza della banca centrale è garantita.
Finora all’interno della Fed ha vinto l’alleanza trasversale di chi non ama le regole, rispetto a chi le vorrebbe, per le ragioni opposte. È una inedita alleanza tra colombe e falchi moderati, che esclude colombe e falchi radicali.
In dicembre la strategia dominante è stata quella delle “colombe moderate”. I tassi dovevano rimanere a zero fino al momento in cui tutti i dati non avessero segnalato senza equivoci un ritorno dell’economia americana su un sentiero di crescita stabile; in altri termini, era necessario che gli andamenti della crescita economica, degli occupati, dei salari e dei prezzi raccontassero tutti la stessa storia. Il ritorno alla stabilità deve “dipendere dai dati”; peccato che non si dica quali. È una politica nei fatti del “non annuncio”.
La politica del non annuncio ha trovato all’interno della Fed due tipi diversi di oppositori. Da un lato le “colombe radicali”, preoccupate dal fatto che si possano sottovalutare i segnali di una stagnazione strutturale dell’economia americana, confermati da una inflazione anemica. Per cui per le colombe radicali la strategia della Fed dovrebbe essere basata su un regola di politica monetaria, da cui dovrebbe scaturire una espansione monetaria continua, finché gli obiettivi di piena occupazione e di stabilità monetaria – tasso di crescita dei prezzi al consumo al 2% – non vengano effettivamente raggiunti.
Ma ci sono anche i falchi “radicali”. I falchi vogliono evitare che l’economia americana si surriscaldi eccessivamente, alimentata da una politica monetaria che può creare bolle di vario tipo: inflazionistiche, delle attività finanziarie, dei prezzi delle case. Occorre prevenire i surriscaldamenti, con un ritorno a tassi di interesse nominali e reali positivi. Ai “falchi moderati” basterebbe che si annunciasse la fine della politica monetaria espansiva. Ai “falchi aggressivi” non basta: il ritorno alla normalità deve passare dal ripristino di regole esplicite, sicuramente di intonazione diametralmente opposte a quelle che hanno in mente le colombe aggressive.
Ma adesso ci sono i falchi aggressivi anche nel Parlamento americano. I Repubblicani non fanno mistero di voler riconsiderare il tema della assenza di regole nella condotta della Fed, non solo in termini di definizione della strategia di breve periodo, ma addirittura vincolando istituzionalmente la banca centrale al rispetto di tale regole. L’estremismo nelle file repubblicane confonde due questioni che sono profondamente diverse. La definizione di regole di condotta deve essere lasciata all’autonomia del banchiere centrale, che invece deve essere vincolato con un obiettivo statutario specifico e prioritario, come è quello della stabilità monetaria. Ma la confusione trova le sue radici in una banca centrale che è oggi al contempo priva di un obiettivo istituzionale e di una regola di condotta. L’esatto contrario della banca centrale europea, almeno finora. Perché anche a Francoforte i rischi non mancano: l’aver fatto della Bce il centro di un sistema al contempo centralizzato ma ancora con forti decentralizzazioni nazionali, e con responsabilità accessorie nella vigilanza macro e micro, aumenta il rischio di sottoporre a tensioni anche estreme un modello che finora si è dimostrato particolarmente adatto a gestire esclusivamente la politica monetaria, soprattutto quando gli interlocutori politici non sono due – repubblicani e democratici – ma un numero ben più alto e variabile, riflesso delle dinamiche politiche di almeno 19 Paesi diversi.