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 2015  febbraio 27 Venerdì calendario

Le relazioni fra Usa e Israele non sono mai scese così in basso. Il motivo di lungo termine del contrasto è l’Iran. Secondo Susan Rice la visita che Netanyahu farà a Washington il 3 marzo sarà «distruttiva». Il premier israeliano accusa Obama: «Date la Bomba agli ayatollah». La replica di Kerry: «Ci ha spinto a invadere l’Iraq, visto com’è finita?»

Secondo la consigliera per la sicurezza nazionale del presidente Obama, Susan Rice, la visita che il premier israeliano Netanyahu farà a Washington il 3 marzo sarà «distruttiva». Lui risponde che gli Stati Uniti «hanno rinunciato» a impedire che l’Iran costruisca la bomba atomica. Intanto il capo della diplomazia americana, John Kerry, ricorda al Congresso che «durante l’amministrazione Bush, Netanyahu spinse molto per l’intervento in Iraq, e sappiamo come è finito».
Relazioni ai minimi
Le relazioni fra Usa e Israele non sono mai scese così in basso, e stiamo parlando solo delle accuse che si sono scambiati in pubblico. Il motivo di lungo termine del contrasto è l’Iran, ma nell’immediato ci sono le elezioni del 17 marzo nello Stato ebraico, e la speranza neppure velata dell’amministrazione Usa che il premier ne esca sconfitto.
I rapporti fra Barack e Bibi non sono mai stati facili, per ragioni caratteriali e ideologiche. Obama non ha creduto alla sincerità di Netanyahu nei tentativi di trovare un’intesa con i palestinesi, e il fallimento della mediazione cercata da Kerry è stato visto come la conferma di questo pregiudizio. Netanyahu probabilmente pensa che Obama nel migliore dei casi non ha una strategia per il Medio Oriente, e nel peggiore ne ha una che mette a rischio la sopravvivenza di Israele.
Così, dopo le incomprensioni sulla Primavera araba, il flirt con i Fratelli Musulmani in Egitto, il ritiro frettoloso dall’Iraq, il mancato intervento contro Assad e il gelo con l’Arabia Saudita, si è arrivati allo scontro quasi aperto sul programma nucleare iraniano. Obama ritiene che potrebbe rappresentare la sua eredità storica in Medio Oriente, chiudendo un conflitto durato quasi quarant’anni, e aprendo la porta a un nuovo equilibrio nella regione capace di soffocare anche il terrorismo. Netanyahu pensa invece che il capo della Casa Bianca stia concedendo l’atomica agli ayatollah, mettendo a rischio la sopravvivenza di Israele. In mezzo ai due si è inserito il Congresso a maggioranza repubblicana, che per fare uno sgarbo al presidente ha invitato il premier a parlare in aula, senza informarlo.
Colpo basso sul Mossad
La lotta ormai è senza esclusioni di colpi, al punto che qualcuno sospetta che gli «Spy cables» resi pubblici dalla televisione Al Jazeera siano arrivati proprio dall’amministrazione Usa. Imbarazzano Bibi, mostrando che il Mossad non condivide appieno le sue analisi e i suoi allarmi sul livello di preparazione degli iraniani nella realizzazione della bomba. E la persona che ha gestito il negoziato per conto del dipartimento all’Energia è un ex agente della Cia, che sa al millimetro quali garanzie servono da Teheran per avere la certezza che non possa costruire armi.
La disputa ora riguarda piuttosto la «sunset clause», ossia l’idea che i vincoli imposti all’Iran dall’accordo scadano dopo 10 o 15 anni, consentendo a quel punto agli ayatollah di riprendere in pieno l’attività atomica a scopi civili. Secondo Israele, questo significa solo ritardare la costruzione della bomba, mentre gli Usa puntano sul fatto che fra dieci anni il 76enne Khamenei probabilmente non ci sarà più, e si potrà discutere su nuove basi con una leadership illuminata.
Nel frattempo, però, la disputa ha un orizzonte immediato nelle elezioni. L’organizzazione V-2015 che lavora per la sconfitta di Netanyahu è guidata da cinque americani fra cui Jeremy Bird, ex direttore nazionale della campagna presidenziale di Obama. Bibi invece ha giocato la carta del Congresso, e sente che sta guadagnando punti in casa, proprio per la reazione di Barack. Se vincerà, poi potrà smettere di trattare con Obama e aspettare la prossima amministrazione.