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 2015  febbraio 19 Giovedì calendario

Non solo Lotito. Il bestiario dei padroni del calcio. Finiti i tempi di Franchi e Sordillo, lo stile delle presidenze del governo della Figc è precipitato da tempo

I padri nobili alla Artemio Franchi, traditi da una curva estiva, non ci sono più: “Non permetterò che facciate pazzie al calciomercato: da voi esigo chiarezza nei bilanci e, soprattutto, la massima onestà”. A più di trent’anni dalla morte del più nobile tra i presidenti della Federcalcio, l’appello è rimasto inascoltato e neanche il sistema si sente troppo bene. Dominato dall’omertà, dal terrore delle ritorsioni e dalle diserzioni che tradiscono origini ed essenza (su tutti il pretoriano di provincia vicino a Claudio Lotito, il pandoro trasformato in tartufo, Luca Campedelli, per anni descritto come artefice della favola Chievo) il regimetto si compatta e indifferente alle critiche, circonda di affetto e servilismo il suo uomo forte. Parlano per opporsi soltanto Juventus e Roma. Si è svegliata (meritoriamente) la Fiorentina. Qualche distinguo flebile giunge da Cairo. Sul resto, il penoso silenzio della complicità condivisa.
Che su Carpi, Latina e Frosinone, Lotito abbia detto quello che Galliani e De Laurentiis pensano da anni (non di rado ad alta voce, blaterando a ondate di Superlega), non è un mistero. Ed è anche difficile stupirsi dei toni utilizzati dal Sor Claudio, quando a Nord di Roma, a Parma, dopo aver visto approdare e levare in fretta le tende prima Tanzi e poi Ghirardi, c’è ora il signor Manenti, anche detto: “Bonifico in arrivo”. Manenti, planato sulle macerie della squadra di Donadoni dopo un paio di naufragate acquisizioni di altra natura e sosia sputato di De Niro in Taxi Driver, proprio come il Travis Bickle del film di Scorsese, è chiamato al lavoro sporco: “Ogni volta che riporto la macchina in garage devo ripulire i sedili”. Non è chiarissimo se gli verrà concesso il tempo di farlo, ma in ogni caso, ricordava un esperto di nome Stendhal: “Ogni vera passione non pensa che a se stessa” e quindi, nel peggiore dei casi, il Parma farà la fine di altre squadre nobili decadute (Fiorentina, Napoli e Torino) fatte fallire a tavolino e poi recuperate a nuova vita.
Lotito è solo l’interprete più efficace di un microcosmo che archiviato Federico Sordillo, ha rappresentato soltanto, almeno dalla metà degli Anni 80, un campo di battaglia per interessi che con lo sport avevano relativamente a che fare. Uno comanda e gli altri, comodamente seduti e adeguatamente foraggiati (Tavecchio insegna), eseguono. Eseguono perché la soglia di indignazione si è abbassata, perché l’oblìo cancella qualunque indecenza, perché i gaffeur sono elevati a padri della patria e perché come ricordava un maestro nel genere, Tonino Matarrese, proprio nelle ore successive all’omicidio di Filippo Raciti: “I morti fanno parte del sistema calcio” e lo spettacolo non si può fermare. Quello offerto da questi giorni di golpetti all’amatriciana e silenzi assordanti, è in linea con le piazzate più o meno folkloristiche che alle nostre latitudini da sempre circondano il pallone. Era stato proprio il fratello di Tonino, Vincenzo Matarrese, a subire in diretta l’aggressione verbale di Luciano Gaucci (perché espellerlo dal circo ed esiliarlo a Santo Domingo quando gli epigoni odierni gli sono parenti se non figli?).
Accadde in località Perugia, quando sotto l’occhio delle telecamere, in un’indimenticabile sceneggiata, Lucianone gridò la propria indignazione per una sfortunata direzione arbitrale toccata in sorte al suo Perugia: “Figli di puttana, vi siete comprati l’arbitro!”. Oggi il potere di Lotito è, anche plasticamente, nelle sue mani. La Gazzetta dello Sport vorrebbe le sue dimissioni e il pallone, compatto, non solo non ne discute, ma si esercita nel pernacchio in cui eccelleva il principe De Curtis. Sempre di commedia si tratta. Il presidente di un Avellino che fu, Sibilia, redarguiva a schiaffi i giocatori che violavano il coprifuoco aspettandoli sotto casa. A Beniamino Vignola toccarono prima un ceffone e poi una carezza dialettica: “È un bambino disubbidiente”. Lotito non ha bisogno di picchiare. I suoi lo ascoltano a prescindere. E come nei sonetti del Belli, non contano un cazzo perché a contare davvero è solo chi non si vergogna e si compiace anche dell’ombra che proietta.