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 2015  febbraio 02 Lunedì calendario

La seconda vita di Dominik Paris, lo sciatore umile che sa divertirsi: «Ho aggiunto esperienza, ho imparato a curvare e ho capito che solo il lavoro mi avrebbe permesso di crescere. La birra va sempre bene, ma ogni tanto. E la mia ragazza, Kristina, non è bionda…»

Pronto? «Prontissimo». Viso sorridente, due pietre nere incastonate nei lobi delle orecchie – lo fa anche Lewis Hamilton –, spalle generose. Ci vogliono, le spalle di Dominik Paris. Devono caricare questa Italia dello sci che va allo start del Mondiale con poche carte d’attacco. Lui è la principale. Domani SuperG donne, dopodomani quello maschile: sapremo subito come butta. Ma già siamo coscienti che oggi la nazionale coincide in gran parte con la sagoma poderosa di Domme 2.0, l’evoluzione di un ragazzo che è esploso e ha vinto, che subito dopo ha conosciuto la dura legge dell’infortunio e del riflusso ma che adesso è rimontato in sella. Pressioni e angosce? «Non le avverto. E non mi sento solo a trainare la baracca: penso a Innerhofer, a Gross che in slalom è tornato forte; penso alle possibili sorprese di altri. Se tutta l’Italia va bene, le motivazioni aumentano. Ma io sono pronto: ho aggiunto esperienza, ho imparato a curvare e ho capito che solo il lavoro mi avrebbe permesso di crescere. Infine: ho imparato a divertimi. Sì, a vincere divertendomi».
In fondo è andato di fretta. E non è solo una questione statistica – il primo podio in Coppa è del gennaio 2011 – o dell’età (25 anni) e di un palmarès già importante, che contempla pure un argento iridato in discesa da difendere e possibilmente da migliorare. È la sua storia a sorprendere, perché è passato poco tempo dai giorni in cui il padre l’aveva schiaffato in una malga a spalare letame e a riflettere sull’occasione che stava sprecando nello sport al momento in cui Paris è diventato un velocista di riferimento. «Ho cambiato mentalità» ammette. Prima di tutto, Domme ha sistemato il fisico, per non derubricarsi da atleta possente a ciccione imbranato: «A tavola posso peccare tanto. Ma i risultati mi hanno spiegato che se passo da tre piatti di pasta a uno, è meglio». Non vale più nemmeno lo sfottò di Innerhofer, «tra due bionde, una ragazza e una birra, prende la birra»: «La birra va sempre bene, ma ogni tanto. E la mia ragazza, Kristina, non è bionda…». Quindi la maturità, sbocciata quando le reti della Val Gardena hanno accolto l’omaccione che sognava di lasciare l’impronta sui Giochi. Storia di un anno fa, di speranze infrante e di un tonfo educativo: «Ho capito che basta un attimo per ricadere nella polvere e che l’unica difesa è il lavoro».
Paris ha investito sulla tecnica, ha studiato terreni e avversari. Adesso i rivali li sminuzza al videotape per capire stile e segreti. «Guardo quelli veloci e chi ha belle idee. Ad esempio, Bode Miller fa sempre scelte diverse: mi piace vederlo e portargli via qualcosa. Stessa cosa per Svindal, anche se lui inventa di meno: lo guardo e rifletto». Lo guarderà ancora di più se, come sembra, il norvegese volante deciderà di correre dopo un recupero record dall’infortunio a un tendine d’Achille: dato che la pista è intitolata agli uccelli predatori, è doveroso tentare di carpire ai rivali arte e medaglie. Domme sa di essere l’arbitro di se stesso: «Ora qui sono in grado di fare la differenza e lo spirito è migliore di quello di due anni fa: sono più rilassato e sicuro». Quanto ha perso a Sochi è impagabile («Il podio olimpico non ha prezzo e resta nei miei piani»), ma Beaver Creek ha nel portafoglio buone compensazioni: «Facciamo due medaglie d’oro e non se ne parla più…» dice con una risata che scuote le pareti. L’amata chitarra attende di accompagnare la sua festa.