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 2015  febbraio 02 Lunedì calendario

L’australiano Peter Greste è libero. Dopo 440 giorni di prigione in Egitto, il reporter di Al Jazeera che denunciò la repressione anti-Morsi e fu accusato di spionaggio è tornato a casa

Peter Greste è libero. Il giornalista di «Al Jazeera» arrestato al Cairo a dicembre 2013 con l’accusa di «attività di spionaggio a favore dell’organizzazione terroristica dei Fratelli Musulmani» è tornato nella natia Australia dopo il decreto del presidente Al Sisi che scrive la parola fine a 400 giorni di carcere. Greste era stato prelevato dall’ufficio della tv qatariota allestito nell’hotel Marriot insieme al colleghi canadese-egiziano Mohammed Fahmi e al producer egiziano Baher Mohammed all’inizio del durissimo giro di vite del governo nato dopo la deposizione del presidente Morsi e balzato in cima alla lista nera di organizzazioni come Human Rights Watch e Amnesty per aver imprigionato in un anno e mezzo 41 mila persone, 29 mila delle quali legate ai Fratelli Musulmani. Fahmi e Mohammed restano per ora in cella, ma se il primo potrebbe essere rilasciato presto, la sorte del secondo rimane ignota.
Orizzonte oscuro
Che cosa accade in Egitto, dove il 24 gennaio la militante socialista Shaimaa el Sabbegh è stata uccisa dalla polizia mentre manifestava pacificamente in ricordo dei martiri del 2011? I reporter di «Al Jazeera» raccontano una parte della storia, quella che riguarda i rapporti tra Il Cairo e Doha. La tv qatariota è nel mirino da quando le autorità egiziane hanno messo fuori legge i Fratelli Musulmani (sostenuti da Doha). Dopo la mediazione di Riad e il parziale scongelamento fra i due Paesi, però, s’è cominciato a parlare della liberazione dei giornalisti. «Il regime si prepara al forum economico mondiale con il rilascio dei detenuti più noti ma le galere egiziane sono piene» afferma l’attivista 29enne Naima. È una delle giovani donne che hanno manifestato a Talat Harb nel nome di Shaimaa. La morte della militante 33enne rappresenta un giro di boa per il regime che finora ha «giustificato» il pugno di ferro con la minaccia islamista (ma la vittima partecipava a un corteo indipendente dai Fratelli Musulmani). E mentre le foto di lei che si spegne tra le braccia dell’amico fa il giro del mondo, gli ex ragazzi di Tahrir si chiedono se c’è ancora la chance d’inserirsi negli ingranaggi della restaurazione (la poetessa Fatima Naoot rischia 3 anni di carcere per offese alla religione).
Il nuovo re saudita
«Il regime guarda a Mubarak ma non è solido come sembra» ragiona l’informatico Khaled (gli egiziani non danno più il cognome alla leggera). È amico di Ahmed Maher, Mohamed Adel e Ahmed Douma, gli attivisti del movimento liberal «6 aprile» condannati a 3 anni di prigione per sabotaggio delle istituzioni: «Il Sinai è un caos, giovedì ci sono stati 30 morti. Sisi ha bisogno di consenso interno e internazionale per combattere gli jihadisti, la disoccupazione e i fantasmi del passato. Sul piano interno il malcontento giovanile cova sotto la cenere, su quello internazionale la liberazione dei giornalisti mira a raccogliere credibilità in un contesto in fieri, dove il nuovo re saudita sarà più vicino alla Turchia e al Qatar del precedente».