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 2015  febbraio 02 Lunedì calendario

Pollini, Chopin e la scrittura pianistica ricca, bella e sensuale: «Così la musica è seduzione»

Maurizio Pollini e Chopin sono come due facce della stessa medaglia. Ha legato il suo nome al padre del pianismo moderno da quando, a 18 anni, vinse il Concorso «Chopin». «Ha creato la scrittura pianistica più bella e seducente mai immaginata da un compositore». La sua collana di 17 cd (in vendita da oggi col Corriere a 9,90 euro, oltre al prezzo del quotidiano) si intitola «Chopin e la Musica Romantica».
Maestro, che cosa la affascina di più in lui?
«È un autore estremamente popolare, ma molto misterioso e complesso. È un compositore romantico, è evidente. Eppure Rubinstein lo definì un classico, il che può essere detto con qualche ragione. Pensiamo alla perfezione formale: non c’è mai una nota di troppo, che è una caratteristica dei compositori classici».
Lei ha sempre detto che Chopin non ha avuto padri e non ha avuto figli.
«Non ha avuto padri nel senso che non era legato ai compositori immediatamente precedenti, come Schubert e Beethoven, mentre lo era a Bach e Mozart, a cui rimproverava (sembra pazzesco) alcune volgarità nel Don Giovanni. Fa parte della sua natura prude. La sua musica ha qualche relazione con Paganini e Liszt, e ha lasciato tracce dal punto di vista armonico in Debussy e Ravel, ma anche, nel suo primo periodo, in Scriabin. L’armonia di Chopin è ricca, avanzata, sensuale, espressiva. Un linguaggio assolutamente personale».
Chopin, che morì a 39 anni, soffrì di depressione dopo la rottura con George Sand. Questo si riverberò nelle sue ultime composizioni?
«Forse non si rendeva pienamente conto della grandezza delle sue opere».
Quando si parla di lui, c’è un equivoco tra sentimento e sentimentalismo, come se si fossero formati dei cliché.
«Forse il pubblico prende in considerazione la sua dimensione lirica, ricordando meno quella drammatica che si manifesta, per esempio, negli ultimi tre Studi e nei primi tre Scherzi e nella Sonata con la Marcia Funebre».
Altri interpreti chopiniani?
«Benedetti Michelangeli, Rubinstein è il primo interprete moderno che liberò Chopin dal sovraccarico di manierismo. Cortot, geniale, più vicino all’800. E Horowitz, che un giorno ascoltai nella sua casa di New York, in una Mazurca con una malinconia slava che permeò tutta la stanza».
E tra gli interpreti di oggi?
«Tra i più giovani, Kissin per la tecnica irreprensibile e la dimensione di artista, e Zimmerman. Quanto a me, rispetto agli inizi, quando cercavo di definire il mio modo di suonare, mi prendo maggiori libertà».
Rubinstein, presidente della giuria al Concorso, magnificò il suo talento giovanile.
Sorride. «Disse che avrei suonato tecnicamente meglio di qualsiasi membro della giuria, forse li stava prendendo in giro».
Altri autori della collana?
«Le ultime tre Sonate di Schubert, composte in un mese con grande rapidità, hanno una incredibile profondità; oggi lo si ama non solo come liederista ma nella sua interezza e nei suoi vari aspetti, non si distingue più tra le prime sue sei Sinfonie scritte nel primo periodo (anche se è assurdo parlare di periodo giovanile quando si muore a 31 anni) e le altre. L’“Incompiuta” fu scoperta 30 anni dopo la sua morte, e “La Grande” da Schumann, nella casa del fratello di Schubert in cui la partitura giaceva come se fosse un ricordo di famiglia e non un capolavoro. C’è l’ultimo Liszt, cupo, melanconico e così moderno, in cui compie certi passi verso l’atonalità. Ci sono pezzi meno noti di Schumann, come “Gesänge der Frühe” che scrisse tre anni prima della sua fine, dove si vede che il genio non lo abbandonò mai, o come l’“Allegro” op.8 che forse era il primo tempo di una Sonata mai composta. Di Brahms, il Quintetto con il Quartetto Italiano fu un momento magnifico di far musica insieme».
Schumann non comprese i Preludi e la Sonata con la marcia funebre di Chopin...
«Mentre era entusiasta dei due Concerti e degli Studi, riteneva che quella Sonata fosse formata da quattro movimenti stravaganti, uno diverso dall’altro, mentre quello che la caratterizza è la sua straordinaria unità musicale. Aveva delle riserve sui Preludi...».
Qui c’è l’influenza di Bach?
«Beh, sono un ciclo di composizioni, con l’esistenza di un percorso armonico dove tutte le tonalità sono rappresentate, che ci può ricondurre al Clavicembalo ben temperato di Bach. La regola a cui si attiene nei Preludi, è la grande distanza di carattere e il forte cambiamento di clima da uno all’altro. Io amo tutto Chopin, non amava nessuna musica in cui non ci fosse un pensiero latente».