Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  febbraio 02 Lunedì calendario

Ecco perché il caso delle ferie dei magistrati può rivelarsi pericoloso

Il testo o la testa: l’ordine impartito da una legge è descritto da ciò che sta nel testo della legge o da ciò che sta nella testa del legislatore? Il muro contro muro tra governo e magistrati sulla riduzione delle ferie dei togati, che dopodomani approderà al Csm per una indicazione definitiva agli uffici giudiziari, rischia di compromettere qualcosa di più generale e ben più importante delle impuntature decisioniste del governo o dei riflessi corporativi delle toghe: minaccia il senso stesso delle leggi, insidia la certezza che il loro contenuto precettivo sia ricavabile dal loro testo secondo i canoni interpretativi fissati dalle Preleggi, anziché dall’oracolare ricerca di una presumibile volontà del legislatore dedotta da indicatori estranei al testo di legge come interviste tv, conferenze stampa, dichiarazioni postume.
Appropriato o demagogico che lo si ritenga, infatti, dall’estate scorsa il governo intende ridurre le ferie dei magistrati da 45 a 30 giorni, che è cosa diversa dal periodo di sospensione feriale dei termini dei vari provvedimenti (anch’esso ridotto di 15 giorni), che a sua volta è cosa diversa dal periodo di sospensione delle udienze ordinarie, che a sua volta è cosa diversa dalla chiusura degli uffici giudiziari che in realtà d’estate non avviene mai per le attività urgenti, i turni, gli arresti, i processi con detenuti o a rischio prescrizione, le «direttissime». Si può discutere all’infinito di quanto ridurre di 15 giorni le ferie dei magistrati sia utile o ininfluente, solo simbolico o persino controproducente rispetto all’obiettivo dichiarato di incrementare la produttività di tribunali e procure, tanto più se la riduzione non viene coordinata con una rivisitazione dell’architettura dei depositi dei provvedimenti in scadenza.
Ma una volta che questa è la volontà del governo, l’impasse nasce dal fatto che uno sbrigativo decreto legge l’ha tradotta in un testo che fallisce l’obiettivo perché, invece di modificare direttamente la norma sulle ferie, in un altro tessuto normativo ha aggiunto un articolo 8 bis «dopo l’articolo 8». Il risultato è che, se ci si attiene al testo nel quale dunque gli articoli 8 e 8 bis coesistono, le ferie dei magistrati ordinari resterebbero di 45 giorni, e solo quelle dei magistrati fuori ruolo scenderebbero a 30.
L’esito sarebbe paradossale, visto che invece l’intenzione del legislatore di ridurle per tutti i magistrati a 30 giorni era ed è chiara nella relazione che accompagna il decreto, nei comunicati, nelle conferenze stampa, nelle slide e nei tweet, ai microfoni tv. Per venire incontro a questa volontà per così dire materiale, non basterebbe però soltanto forzare il testo formale così tanto da far finta di considerare normale una simile svista legislativa: si dovrebbe anche sposare una interpretazione larghissimamente teleologica ispirata da ardite «istanze di razionalità ed economicità dei mezzi giuridici», e cioè si dovrebbe dare valore alla circostanza che l’articolo 8 bis, voluto dal governo, peggiorerebbe l’efficacia dell’ordinamento giudiziario qualora non comportasse anche l’implicita abrogazione dell’articolo 8.
Solo che questa controversa ipotesi di abrogazione implicita (promossa a sorpresa dal parere dell’Ufficio studi del Csm, bocciata dalla proposta della VII commissione Csm, e rimessa dopodomani al giudizio finale appunto del plenum Csm) contrasta con l’articolo 15 delle Preleggi, che contempla che le norme siano abrogate solo «da leggi posteriori per dichiarazione espressa del legislatore, o per incompatibilità tra le nuove disposizioni e le precedenti»; e contrasta con l’articolo 12 che prevede che, se la norma è completa, «non si può attribuire alla legge altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse».
Ma soprattutto, persino a prescindere dal caos determinato dall’accoglimento della prevedibile pioggia di ricorsi delle toghe al Tar e al Consiglio di Stato, per il sistema sarebbe devastante l’idea che l’abrogazione implicita di una norma si possa far discendere non dall’esistenza di un’altra regola incompatibile con essa, ma da una generica presuntiva sensazione postuma del legislatore, espressa altrove rispetto al testo di legge, e relativa a un indefinito rischio che la disciplina di una certa materia sia indebolita dalla coesistenza di due norme vergate dal legislatore stesso.
Se dunque il governo ritiene irrinunciabile il taglio delle ferie dei magistrati, per non sfasciare il sistema ha una strada maestra: riscrivere senza svarioni le due righe della legge. Un rimedio che avrebbe già potuto attuare mesi fa, se durante l’iter di conversione del decreto legge non avesse ignorato l’allerta proveniente dall’Ufficio studi della Camera e contenuta anche in un emendamento correttivo mai messo ai voti.