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 2015  febbraio 02 Lunedì calendario

Le Mani pulite di Sky. Dall’arresto di Mario Chiesa alla chiamata di correo di Craxi, passando per la nascita di Forza Italia, il 1992 in una (non)fiction ideata da Stefano Accorsi

L’aria che tirerà nella storia si intuisce subito: dalla tv del lussuoso appartamento milanese di un pubblicitario, interpretato da Stefano Accorsi, spunta la voce (originale) di Piero Badaloni, allora anchor man del Tg1: «Arrestato a Milano l’ingegner Mario Chiesa, presidente cdi un ente comunale di assistenza agli anziani. L’accusa e’ di concussione». Poche frasi che il 19 febbraio 1992 entrarono realmente all’ora di cena nelle case degli italiani, per riassumere una notizia di cui nessuno poteva immaginare la portata. 
E a precedere quel momento, che rappresentò il via all’inchiesta Mani pulite e alla rivoluzione di Tangentopoli, è proprio la scena che ricostruisce l’ arresto del dirigente socialista nei locali del Pio Albergo Trivulzio, da parte dell’allora Pm Antonio Di Pietro (l’attore Antonio Gerardi), in cui c’è spazio anche per l’immagine simbolo di quella giornata, citata poi tante volte sui giornali e nelle aule di tribunale: il rispuntare delle banconote frutto di mazzette dallo scarico del water dove erano state gettate in gran fretta. 
Il 1992 in dieci puntate 
Inizia così «1992», la fiction in 10 puntate prodotta dalla Wildside di Lorenzo Mieli («In treatment» e il film di Pif «La mafia uccide solo d’estate»), in arrivo su Sky a fine marzo, diretta da Giuseppe Gagliardi («Tatanka»). È nata da una idea di Stefano Accorsi, che ne è il protagonista. Tra pochi giorni aprirà – prima volta per un prodotto tv italiano – il Festival del Cinema di Berlino. Ed è attesissima. Perché, sia pure in modo indiretto, cioè attraverso i cambiamenti che i fatti del 1992 causano nella vita quotidiana di sei «persone comuni», è la prima storia televisiva ad affrontare le vicende che 23 anni fa sconvolsero il Paese e spazzarono via una intera classe politica, sostituita da uomini e movimenti nuovi. 
La nascita di Forza Italia
Uno dei fili che percorrono la trama di «1992» è il racconto dei prodromi della nascita di Forza Italia. In particolare la sua incubazione nata dalla ricerca – di cui si immagina l’avvio nei corridoi e nelle stanze della Publitalia di Marcello Dell’Utri (interpretato da Fabrizio Contri), proprio come fu nella realtà – di un nuovo equilibrio che riporti il Paese allo sviluppo mentre Mani pulite fa crollare i vecchi riferimenti politici. 
Non si sapeva. Perché di questa serie si è già parlato molto, ma finora nessuno l’aveva vista. Riuscendo finalmente a sbirciarla, si ha la conferma innanzi tutto che non si tratta affatto di un film documento, bensì di una storia di fantasia e di un affresco d’epoca. In cui, accanto a una ricostruzione di gusti, colori, abiti, stili di vita di quegli anni di crisi, in cui si diffondono i primi cellulari Motorola e le ragazzine impazziscono per «Non è la Rai», c’è spazio anche per protagonisti e «vittime» che il 1992 portò alla ribalta. 
Dal punto di vista televisivo la novità, e il coraggio, sono proprio nella scelta – finora inedita – di far interagire personaggi immaginari con i protagonisti della cronaca chiamando questi ultimi con i loro nomi, senza la scorciatoia dei cognomi di fantasia. 
Il pool e i politici
In «1992» alcuni di loro, Antonio Di Pietro, Piercamillo Davigo, Francesco Saverio Borrelli, Gherardo Colombo, Giovanni Falcone, ma anche il leader referendario Mario Segni, i leghisti Umberto Bossi e Marco Formentini, rivivono interpretati da attori che ne restituiscono modi, linguaggio, in alcuni casi persino le esatte frasi. Silvio Berlusconi compare sullo sfondo, e colpisce come proprio in una serie in onda su Sky, appaia come un sognatore che, unico in un contesto di crisi e decadenza, propone una visione fatta di ottimismo e speranza. 
Si scopre anche che i sei personaggi al centro della storia non sono poi lontani dalle vicende di Tangentopoli. In una Milano non più «da bere» per i morsi della crisi («gli anni ’80 – dice ai venditori di Publitalia Leonardo Notte/Accorsi, cinico ex autonomo in fuga da un passato ambiguo, ora pubblicitario di successo e come tale ingaggiato da Publitalia – sono finiti. Ci siamo divertiti. E siamo andati a letto tardi»), si muovono due poliziotti, Luca (Domenico Diele) e Rocco (Alessandro Roja). Poi Bibi (Tea Falco), figlia viziata di un industriale, e Veronica (Miriam Leone), pronta a tutto per un ruolo da star in tv. Pietro (Guido Caprino) è un ex militare «scoppiato», cooptato per caso nel tumultuoso affermarsi leghista e poi in Parlamento, tra ristoranti vietati perché simboli di «Roma Ladrona» e le lezioni di realpolitik di un notabile democristiano in chiave House of Cards. 
La «chiamata di correo»
Guardando 1992 si ha anche la certezza che la messa in onda causerà polemiche. Perché sullo sfondo delle storie personali dei protagonisti, via via sempre più centrali nella trama, vengono citati un po’ tutti i momenti chiave di quell’anno, la cui memoria è tuttora fonte di divisioni nel Paese: le inchieste sempre più incalzanti, il crollo delle impunità, le logiche imperanti («Il libero mercato? Non interessa a nessuno – spiega uno degli inquisiti – meglio fare un cartello per spartirsi gli appalti. E pagare»). E poi l’avanzata della Lega, i suicidi degli imprenditori travolti dall’inchiesta, gli attentati a Falcone e Borsellino. E l’avvicinarsi di Mani pulite ai nomi eccellenti, come Bettino Craxi. Fino alla celebre «chiamata di correo» a tutti i partiti pronunciata dall’allora segretario del Psi il 3 luglio 1992 alla camera dei deputati. 
Salvare la Repubblica 
Per questo, la scelta degli sceneggiatori di realizzare per Sky una serie che, sia pure sullo sfondo, tra le storie narrate ne ha una legata al suo attuale concorrente tv può trarre in inganno solo all’inizio. Presto si scopre che è incardinata nel racconto della realtà in cui il Paese visse nel 1992. E, dopo un avvio da pugno nello stomaco («Dobbiamo salvare la Repubblica delle banane», dice Marcello Dell’Utri ad Accorsi nell’assegnargli il compito di capire «cosa vuole la gente»), che sembra preludere a una lettura critica, ciò che colpisce in «1992» è una ricostruzione che riconosce agli uomini di Fininvest di essere stati tra i pochi ad avere la visione della portata epocale del passaggio vissuto dall’Italia e a capire che quel crollo non era la fine di tutto ma il prodromo per qualcosa di nuovo. Pronti, anche, ad espellere chi bara.