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 2015  febbraio 02 Lunedì calendario

Quegli otto Top Gun italiani che difendono i cieli baltici dai russi: «Per il pilota, questa è una delle esperienze più belle e potenti. Si scopre solo in volo qual è la missione»

Bastano otto minuti per staccare l’ombra da terra. Anche se è piena notte, e stavano dormendo. «Siamo addestrati per volare, per noi non cambia nulla, che si decolli a Grosseto o a Šiauliai», dice il comandante Marco Bertoli, 44 anni, toscano. Qui però è il confine orientale dell’Europa, la frontiera estrema della Nato, una distesa piatta e infinita di neve, tagliata da boschi di betulle. E nessuno ignora che 200 chilometri più a sud c’è Kaliningrad con le due basi aree russe. Tantomeno loro.
Se l’Italia li chiamasse top gun, sarebbero questi. Sono arrivati a gennaio, 96 militari: il 4° stormo di Grosseto, il 36° di Gioia del Colle, il 37° di Trapani. E quattro caccia Eurofighter. La missione era in calendario da anni, l’«Air policing» dei Baltici: garantire la sicurezza dei cieli a questi Paesi Nato che non hanno jet propri. La guerra in Ucraina però ha cambiato le carte in tavola. E la Nato ha alzato le difese, i caccia da 4 sono saliti a 16 (ci sono anche polacchi, belgi e spagnoli), le basi sono tre, si decolla anche da Ämari in Estonia e da Malbrok in Polonia. Ed è comparsa quella parola, anche sui giornali: intercettazioni.
«L’attività è intensa», dice il colonnello Bertoli. Le fanno le intercettazioni dei russi, gli italiani? La conferma arriva da dentro la base, ma i numeri li fornirà tra qualche mese la Nato. Bisogna affidarsi alle statistiche e immaginare: nel 2014 le intercettazioni sui Baltici sono state 150, dieci le violazioni dello spazio aereo, tutte di 5 o 6 secondi.
I Mig russi volano lungo il Golfo finnico, da San Pietroburgo a Kaliningrad: addestramento anche per loro, routine. Questo certo non è un teatro di guerra, qui piuttosto va in scena un sottile gioco di intimidazione, di prepotenza. E tocca intervenire, mostrare i muscoli in risposta. «Lo spazio non è violabile», dicono gli italiani. Però non è un gioco da ragazzi. Occorre avvicinarsi così tanto all’aereo da poter leggere e fotografare i suoi numeri di identificazione.
C’è poi la questione della sicurezza. Quel che fanno i russi è rischioso per il traffico civile, dice la Nato. Intanto volano senza i transponder, che consentono di individuare il codice del velivolo. Non comunicano i piani di volo, e semmai ne presentano di fuorvianti. «A ottobre un caccia spagnolo è andato a controllare quello che risultava un Iliushin 18 (trasporto truppe, ndr) – racconta un funzionario Nato canadese —. Ebbene, ha trovato un Iliushin 20 con tutti gli apparecchi di sorveglianza».
I piloti italiani sono otto, fanno turni di 24 ore. Se suona il corno, scattano come molle. «Per il pilota, questa è una delle esperienze più belle e potenti: si scopre solo in volo qual è la missione», dice Bertoli. L’ordine arriva via radio, il centro di comando è a Uden, in Germania. E anche se tutti ripetono che non c’è nulla di straordinario, che si fa anche in Italia, che la missione è low cost (e a carico di Vilnius), neppure i militari ignorano che la Lituania li ha salutati, sulle radio e in tv, come «difensori».
Insieme alla Polonia, questo è il Paese più intransigente con Mosca. La presidente Dalia Grybauskaite, cintura nera di karate, si è detta pronta a imbracciare le armi se i russi dovessero invadere. A 23 anni dall’indipendenza dall’Urss, la Russia resta più di una mania nazionale: è il ricordo di due secoli di dominazione, sono le deportazioni staliniane del 1945-54, è il rifiuto delle tragedie infinite (inclusa quella dei 200 mila ebrei sterminati di Vilnius, la Gerusalemme del Nord). Può far ridere che nelle scuole si distribuiscano manualetti di autodifesa (con consigli in stile parasovietico: se ci invadono, andate in ufficio ma non lavorate). Ma basta una passeggiata a Vilnius, le strade lastricate di pietre nere come una piccola Praga, i palazzi e le chiese barocche, a capire l’ostinazione nel volersi legare (anche con l’euro, adottato a gennaio) all’Europa.
Di tutte queste tensioni nella base di Šiauliai non c’è traccia. Qui regna il ritmo disteso dei militari. Eppure, in questa distanza di stili, fosse anche solo dalla retorica tesa di Grybauskaite, si misura un po’ del divario tra l’Est e l’Ovest dell’Europa, perfino dell’incomprensione. Ai militari non importa: a ciascuno il suo mestiere.
Sulla pista tira un vento gelido. Siamo sotto lo zero. Il T-scramble – un test lanciato all’improvviso – parte poco dopo le dieci: la vestizione dei piloti, la corsa, i tecnici che preparano i due jet, gli shelter che si aprono, il decollo. Sembra un pit stop della Ferrari. Tempo? «11 minuti». Bertoli ha una smorfia leggera. «Si può fare molto meglio, qui dovevano partire dalla pista opposta».
Domani, senza vento, si rifarà. A meno che non ci sia bisogno di alzarsi in volo prima, e scoprire via radio qual è la missione.