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 2015  febbraio 01 Domenica calendario

Il Fatto del Giorno sull’elezione di Sergio Mattarella al Quirinale

Sergio Mattarella è il nuovo presidente della Repubblica, eletto ieri mattina dall’Assemblea dei grandi elettori con 665 voti, otto in meno di quelli che gli sarebbero bastati già nelle prime tre votazioni.

Ne abbiamo detto qualcosa nei giorni scorsi, ma insomma moriamo dalla voglia di saperne di più.
È nato a Palermo il 23 luglio del 1941, ma ha studiato al liceo San Leone Magno di Roma. Due anni fa gli è morta la moglie, Marisa Chiazzese, un’elegante signora bionda, figlia del grande studioso delle antiche istituzioni giuridiche di Roma, Lauro Chiazzese. Da allora si  è trasferito dall’appartamento di via della Mercede – cuore di Roma, a un passo da piazza di Spagna – nella foresteria della Corte costituzionale, cinquanta metri quadri appena, in un punto della Capitale molto meno seducente. Una veloce rassegna dei giudizi che sono stati dati su di lui nei giorni scorsi ne delinea il carattere meglio di qualunque discorso: «Pio, schivo, incapace di sorriso, grigio, invisibile, dolente e creativo, mite fin quasi ad apparire fragile, mediatore per natura e vocazione politica, sembra uno in bianco e nero degli anni ’60, un monaco». Quest’ultimo giudizio è di Silvio Berlusconi.  

Figli?
Tre: Laura, Bernardo Giorgio, Francesco. Bernardo si chiama come il nonno, che fu eletto alla Costituente, varie volte ministro e di continuo accusato senza prove di avere rapporti con la mafia. I cronisti hanno scavato nei giorni scorsi per trovare qualche macchia nella famiglia, ma finora è poca roba. Il nipote Bernardo, figlio di Piersanti, deputato regionale in Sicilia è indagato per peculato sui rimborsi regionali.  

In definitiva, si direbbe, una vita senza eventi.
Detto del suo carattere schivo, la sua vita consta di quattro punti di svolta. Era ancora un giovane avvocato e la mafia gli ammazzò il fratello Piersanti, presidente della Regione siciliana e nemico delle cosche. Era il 6 gennaio 1980. Furono Sergio Mattarella e la moglie di Piersanti, Irma (Irma Chiazzese, i due fratelli avevano sposato due sorelle) a estrarre il corpo ancora vivo dall’auto. Piersanti spirò tra le braccia di Sergio. I cronisti ricordano il suo maglione tutto chiazzato di sangue. Quel delitto spinse il giovane avvocato, fin allora assai resistente, ad entrare in politica. Il secondo momento chiave della biografia cade alle 21 del 26 luglio 1990. Mattarella, ministro della Pubblica Istruzione, lascia il governo Andreotti perché non può ammettere la forzatura sulla legge Mammì che regolamenta il sistema televisivo in senso troppo favorevole a Berlusconi: «Riteniamo che porre la fiducia per violare una direttiva comunitaria sia, in linea di principio, inammissibile…». La motivazione delle dimissioni, tutta giuridica, dice tutto sull’uomo. La svolta a sinistra avviene alla fine di luglio del 1994 (terza tappa della sua vita). In un sotterraneo dell’hotel Ergife in Roma i superstiti della pattuglia dc decimata da Mani Pulite e da due turni elettorali tremendi discutono il futuro del Partito popolare. Vince Buttiglione che vuole orientare il Ppi a destra. Quelli di sinistra escono allora dalla sala scandendo «Fascisti, fascisti». Li guidano Mattarella e Rosi Bindi. Mattarella lascerà subito la direzione del Popolo. E infine: in quelle elezioni che fecero a pezzi gli eredi democristiani si votò col sistema escogitato proprio da Mattarella e che chiamiamo Mattarellum: tre quarti dei seggi assegnati col maggioritario, un quarto col proporzionale.  

Il nuovo Presidente della Repubblica è mai stato ministro?
Sì, certo. Nel governo De Mita (Rapporti con il Parlamento), nell’Andreotti VI (Istruzione), nel D’Alema II (Difesa). Nel primo governo D’Alema era stato vicepresidente del Consiglio. È rimasto ininterrotamente alla Camera dal 1983 al 2006, sei legislature. Nel 2011 il Parlamento lo ha eletto giudice costituzionale. Radicali, Di Pietro e un pezzo del Pd gli fecero la guerra (volevano Violante), passò anche allora alla quarta votazione, per un solo voto: quello della sconosciuta Marianna Madia, che aspettava un bambino e venne trascinata fino a Montecitorio per dargli il voto.  

Tutto questo grigiore significa che Renzi potrà fare quello che vuole?
Renzi ieri, subito dopo l’elezione, ha twittato (senza hashtag): «Buon lavoro, presidente Mattarella. Viva l’Italia». Buttiglione, suo avversario vent’anni fa, ha detto: «Renzi ha fatto eleggere Mattarella perché non lo conosce». Tra le sue poche, vecchie dichiarazioni ho pescato: «Talvolta la goccia è più efficace del torrente in piena, i piccoli passi sono importanti almeno quanto i grandi movimenti che suscitano clamore». L’elezione di Mattarella stabilisce alcune prime volte: è la prima volta che un siciliano sale al colle, è la prima volta – dopo Einaudi – che diventa capo dello Stato uno che non è stato prima capo del governo o presidente di Camera o Senato. Aggiungerei una terza novità: è il primo non renziano nominato da Renzi, che se lo è messo addirittura sulla testa. Qualche guaio ci sarà. A cominciare dall’Italicum: sicuri che quel punto della legge dove si stabiliscono i capilista bloccati sia coerente con la sentenza della Consulta che ha riformato il Porcellum e che vuole le preferenze senza se e senza ma? Sentenza che ha contribuito a scrivere lo stesso presidente della Repubblica?