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 2015  gennaio 30 Venerdì calendario

Aver scelto Sergio Mattarella come candidato al Quirinale rappresenta per Renzi un rischio calcolato, ma pur sempre un rischio. Il premier ha fatto prevalere la coesione del suo partito, il Pd, rispetto alla fedeltà passiva verso un’intesa con Forza Italia da cui aveva già ricavato il massimo

Aver scelto Sergio Mattarella come candidato autentico e non fittizio al Quirinale rappresenta per Renzi un rischio calcolato, ma pur sempre un rischio. Prova ne sia che al momento il patto del Nazareno è parecchio sbrindellato e l’irritazione di Berlusconi non è una sceneggiata a uso dei media. La verità è che il premier ha fatto prevalere la coesione del suo partito, il Pd, rispetto alla fedeltà passiva verso un’intesa con Forza Italia da cui aveva già ricavato il massimo.
La riforma elettorale ha superato a Palazzo Madama lo scoglio più arduo, la riforma costituzionale del Senato è in cammino, circa a metà delle quattro letture: in teoria Berlusconi può vendicarsi buttando tutto all’aria, come sta minacciando di fare, ma quale sarebbe il suo guadagno? In fondo Renzi rimane, nonostante lo strappo sul Quirinale, il più affidabile punto di riferimento per l’anziano leader del centrodestra.
Certo, è esistito un tempo in cui Berlusconi si concedeva dei colpi di testa clamorosi quanto ben meditati e finalizzati: come quando sul finire degli anni Novanta buttò all’aria la Bicamerale di D’Alema. Ma da allora è passata molta acqua sotto i ponti. Nella politica di oggi la parte dello scacchista imprevedibile tocca a Renzi e Berlusconi dovrà in qualche misura adattarsi. A meno di non voler smentire del tutto se stesso e le scelte dell’ultimo anno, come già gli sta rimproverando il dissidente Fitto. La verità è che nel patto non c’era tutto e sul Quirinale non era «già tutto deciso», come hanno sostenuto per giorni con sufficienza i difensori del dogma nazareno. Renzi si è affrancato con destrezza da un abbraccio scomodo quando ha visto che il prezzo da pagare (lo sfilacciamento del Pd) diventava troppo oneroso. Lo accusano di essersi messo, scegliendo Mattarella, nelle mani dei suoi avversari, cioè i conservatori e i «frenatori» della sinistra. Anche questo fa parte del rischio calcolato, ma è troppo facile criticare in via preventiva il candidato alla presidenza, da cui ci si attende soprattutto – come ha detto proprio Renzi – che sia il garante di un equilibrio complessivo al vertice delle istituzioni, ben sapendo che «la Costituzione non è intangibile».
Ancora un rischio calcolato: la posizione dei centristi di Alfano stretti fra la permanenza al governo e l’intesa tattica con Berlusconi. È il punto più delicato della vicenda. Senza dubbio il gruppo Ncd-Udc non ha la minima intenzione di abbandonare l’esecutivo, e del resto un conto è la maggioranza di governo e un altro è la maggioranza parlamentare che esprime il presidente della Repubblica. Tuttavia è anche una stranezza che il ministro dell’Interno e il presidente della commissione Esteri della Camera (Casini) non votino il capo dello Stato. Per ora la questione si risolve con la scheda bianca alla quarta votazione, la stessa scelta annunciata da Berlusconi. Regge quindi la convergenza con Forza Italia, ma senza che da essa nascano nuovi equilibri (e pensare che fino a pochi giorni fa qualcuno prevedeva un «rimpasto» per allargare la maggioranza a esponenti berlusconiani): un’altra contraddizione che dovrà risolversi a breve.
Infine c’è il rischio che riguarda lo stesso Pd. Renzi ha reso più compatto il partito con Mattarella, ma ora serve la verifica dei numeri. Sulla carta alla quarta votazione il candidato sarà eletto anche senza l’apporto dei centristi. Ma è evidente che Renzi spera fino all’ultimo di allargare la platea del consenso. Per ragioni di ordine istituzionale e anche per il legittimo timore dei franchi tiratori. Ieri il primo, inutile scrutinio ha dato un responso non del tutto tranquillizzante. Sepolti sotto la montagna di schede bianche ci sono circa 130-150 voti dispersi. Per cui le schede non votate risultano inferiori – e di molto – alla somma di Pd, Forza Italia e sigle centriste (circa 750). In altri tempi sarebbe stato un segnale di battaglia. Oggi forse è solo un caso, ma la partita del Quirinale non è affatto chiusa. Renzi, se vorrà evitare di inciampare all’ultima curva, dovrà essere molto vigile nelle prossime ore.