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 2015  gennaio 29 Giovedì calendario

Ci si sottomette all’islam per colpa di troppi libri cattolici «cupi e intransigenti». Il libro di Houellebecq secondo Camillo Langone

Forse ho capito perché il protagonista di Sottomissione alla fine del romanzo si sottomette all’islam: perché ha letto troppi libri cattolici. E quindi non perché, o non solo perché, ci ha trovato la sua convenienza (in effetti essere cattolici, oggi in Europa, non giova ad alcuna carriera). Non perché, o non solo perché, in questo modo vedrà aumentare il suo stipendio di professore in una Sorbona finanziata dagli arabi. Non perché, o non solo perché, potrà legittimamente disporre di un piccolo piacevole harem. Ma perché, o anche perché, ha letto Huysmans, Bloy, Drumont, Barbey d’Aurevilly...
Che cos’hanno in comune questi autori oltre all’aver condiviso il medesimo spazio-tempo ossia la Francia di fine Ottocento? Erano tutti cattolici, e tutti campioni di un cattolicesimo cupo e respingente. Si potrebbero definire dark side del decadentismo, movimento artistico-letterario già poco solare di suo. Spesso erano dei convertiti e dei convertiti esibivano lo zelo febbrile e molesto. Spesso erano degli esteti e come tali disprezzavano la massa, che non poteva non ricambiare. Ovviamente erano dei reazionari, dei monarchici, e perciò dei passatisti perché dalla disfatta di Sedan, dove quel vanesio di Napoleone III aveva perso il trono, la stagione delle teste coronate per la Francia era finita per sempre. Non ce l’ho con loro, anzi li sento simili e fratelli, anch’io sono cattolico, simpatizzante borbonico e portatore di tabarro proprio come Barbey d’Aurevilly, però essere eccentrici non significa essere ciechi e la rivolta contro la modernità di Huysmans e amici è impossibile non vederla perdente, e tetra.
Questo già nel contesto degli anni Ottanta del diciannovesimo secolo, figuriamoci oggi o nel 2022, anno in cui è ambientato il romanzo di Houllebecq. Mi sono andato a rileggere i titoli delle varie bibliografie: Alla deriva, L’abisso, Il disperato, La fine di un mondo, Nelle tenebre, Alla soglia dell’Apocalisse... Certo che a questi il cristianesimo aveva preso proprio male. La Bibbia la leggevano saltando il salmo 99: «Servite Domino in laetitia». Siccome i titoli a volte portano fuori strada mi sono letto per intero il libro più famoso dell’autore più famoso del gruppo: Controcorrente. Di Huysmans, di cui il professore di Houellebecq è un grande specialista, avevo letto poco e non Controcorrente, o A ritroso che dir si voglia, che fu, lo ha dichiarato l’autore stesso, tappa decisiva verso l’approdo della fede. Il protagonista Des Esseintes viene dipinto come un frivolo egocentrico eppure non fa che parlare di Santi, allestisce una sala come fosse il coro di una chiesa, a lato del letto pone un inginocchiatoio, compra le candele in un negozio di articoli religiosi «perché provava una sincera ripugnanza per tutta l’illuminazione moderna, così violenta e brutale». È una specie di monaco laico, un uomo in via di conversione la cui vicenda però non può convertire nessuno. Il libro è molto più noioso del previsto, povero di eventi e appesantito da interminabili, sfinenti descrizioni di mobili, tessuti, vecchi libri, cosmetici, profumi. «Iniettò nella stanza un’essenza formata di ambrosia, di lavanda di Mitcham, di pisello odoroso. Poi, in questo prato, introdusse una precisa fusione di tuberosa, di fior d’arancio e di mandorla, e subito nacquero lillà artificiali mentre si agitavano tigli versando a terra le loro pallide emanazioni imitate dall’estratto di tilia di Londra».
Si moltiplichi questo virgolettato per cento e si avranno capitoli e capitoli che mettono voglia di andare a farsi un giro in bicicletta. Non di diventare maomettani, questo no. Ma di considerare il cattolicesimo come un’idea mummificata ottima per essere abbracciata da dandy in via di putrefazione, questo sì. Barbey d’Aurevilly scrisse che, dopo Controcorrente, a Huysmans non restava che scegliere tra un colpo di pistola e la croce, ossia tra il suicidio e la fede. Huysmans scelse la fede, andando ad abitare presso un’abbazia benedettina. Ma erano altri tempi, più belli di molti tempi seguenti (non per nulla vennero chiamati Belle Époque). Le prime automobili, il primo cinema, il liberty, D’Annunzio, le esposizioni universali, il Moulin Rouge, i quadri di Boldini: allora la tentazione era la liberazione, non la sottomissione. Anche perché gli arabi se ne stavano al loro posto, ossia in Arabia.
Oltre un secolo dopo il cattolicesimo di Huysmans e degli altri decadentisti francesi non è più religione, è solo letteratura. Materia per corsi universitari, quanto di più lontano dalla vita. E non c’è da stupirsi che nemmeno ai professori basti più. François, il protagonista del romanzo appena uscito, avrebbe dovuto leggere i libri di padre Zanotti, il prete che col suo fervore ha riportato Cristo nei quartieri multietnici di Marsiglia, o vedere L’apostolo di Cheyenne Carron, regista giovane e bellissima (più o meno l’opposto dell’attempato e sdentato Houellebecq) che racconta la storia di un musulmano che si fa cristiano (l’opposto di Sottomissione). Invece ha studiato i cattolici sbagliati, i più sterili e datati, e dovendo scegliere tra il suicidio e la fede ha scelto tutti e due, ossia una fede che è contemporaneamente un suicidio (della libertà).