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 2015  gennaio 29 Giovedì calendario

Più o meno è così che nel 2006 scoppiò la lunga e sanguinosa guerra fra Israele e Hezbollah, lungo il confine meridionale libanese. Lo scontro di ieri mattina è avvenuto nella regione del Golan. Una serie di razzi lanciati dalle postazioni di Hezbollah ha centrato due mezzi militari israeliani che hanno risposto immediatamente con una salva di cannonate. Uccisi due militari di Tel Aviv e un casco blu spagnolo

Più o meno è così che nel 2006 scoppiò la lunga e sanguinosa guerra fra Israele e Hezbollah, lungo il confine meridionale libanese. Due mezzi carichi di soldati israeliani colpiti dai miliziani sciiti, due militari morti e sette feriti, un bombardamento di risposta israeliano sotto il quale è morto un militare spagnolo inquadrato nei caschi blu dell’Unifil. Allora la violenza non si fermò per un mese intero, questa volta potrebbe ripetersi.
Lo scontro di ieri mattina è avvenuto nella regione del Golan, attorno alle fattorie di Sheba, territorio forse libanese, forse siriano, comunque occupato dagli israeliani. Una serie di razzi lanciati dalle postazioni di Hezbollah ha centrato due mezzi militari israeliani, incomprensibilmente non blindati, data la tensione continua e crescente lungo la frontiera.
Poche ore prima gli israeliani avevano colpito alcune posizioni dell’artiglieria siriana che martedì avevano sparato in direzione di Israele.
All’attacco di Hezbollah, ieri mattina, gli israeliani hanno risposto immediatamente con una salva di cannonate. Una di queste ha ucciso un soldato del contingente spagnolo dell’Unifil, i caschi blu delle Nazioni Unite che presidiano la frontiera fra Israele e Libano. Uno dei contingenti più numerosi – circa 1.200 donne e uomini – è quello italiano che tuttavia è dispiegato in una zona diversa, più a Ovest, da quella dei combattimenti di ieri mattina.
L’ipotesi più probabile è che Hezbollah abbia voluto vendicare una precedente azione israeliana della settimana scorsa. Più o meno nella stessa zona, un elicottero aveva centrato un convoglio di Hezbollah, uccidendo sei miliziani del movimento sciita libanese, fra cui un dei suoi capi militari più rilevanti. Ma, ancora più importante, nell’attacco israeliano è rimasto ucciso anche un generale iraniano: Hezbollah e Iran sono alleati strettissimi, combattono insieme sia in Siria che in Iraq.
Israele deve rispondere «in modo forte e sproporzionato», dice da Pechino dove è in visita, il ministro degli Esteri Avigdor Lieberman. Secondo lui, non solo Hezbollah ma l’intero governo libanese è responsabile dell’attacco.
Anche nella guerra precedente, bombardando zone del Paese lontane dalla frontiera e non controllate da Hezbollah, Israele si era alienato i molti nemici libanesi del movimento islamico sciita.
Le dichiarazioni di Lieberman potrebbero essere parte della campagna elettorale in corso in Israele – si vota il 17 marzo – più che un reale piano d’azione per le prossime ore. Il grande dubbio è infatti se il batti e ribatti continuo dello scontro di confine fra Israele ed Hezbollah, si fermerà qui o la faida prenderà le dimensioni di un’altra vera guerra.
Anche nel pomeriggio di ieri si è continuato a sparare attorno alle fattorie di Sheba. I militari israeliani centrati ieri mattina dai razzi, stavano cercando eventuali tunnel scavati da Hezbollah per penetrare in territorio israeliano e colpire di sorpresa. La situazione è estremamente tesa. Importanti saranno le decisioni di Bibi Netanyahu nelle prossime ore e il discorso preannunciato per domani, venerdì, dal capo supremo di Hezbollah, Hassan Nasrallah.

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Nei dettagli è solo una faida senza fine. Sia gli israeliani che Hezbollah, gli uni colpendo gli altri, ogni volta possono dire di aver compiuto una vendetta: la settimana scorsa i primi avevano ucciso un capo hezbollah e un generale iraniano, ieri gli sciiti libanesi hanno colpito due soldati israeliani. Così da mesi, di risposta in risposta, in un conflitto tenuto sempre sotto traccia.
Ma se si alza lo sguardo, alle spalle della faida c’è una regione il cui caos arriva fino alle terre controllate dall’Isis. E davanti a questa mischia, nell’immediato futuro, c’è il pericolo di un nuovo conflitto del quale non possiamo immaginare la potenzialità distruttiva né le conseguenze.
Israele e Hezbollah avevano interrotto la loro guerra nell’estate del 2006, limitandosi a sottoscrivere un fragile cessate il fuoco. La milizia sciita libanese era riuscita a lanciare su Israele migliaia di razzi e gli israeliani avevano raso al suolo l’intero Libano del Sud, provocando seri danni alle strutture del Paese anche più a Nord. Il bilancio delle perdite dell’una e dell’altra parte fu pesantissimo. Ma le conseguenze rimasero circoscritte all’instabilità del Libano e del governo israeliano che perse consensi interni, in seguito agli errori dello stato maggiore. Le guerre con il Libano non hanno mai portato fortuna ai leader israeliani.
Oggi, nove anni più tardi, la situazione è molto diversa. Non è più solo la faida fra israeliani e Hezbollah, con il resto dello sfortunato Libano che ne paga le spese. Dalla Libia all’Iraq si combattono molte guerre diverse ma con alcuni pericolosi denominatori comuni. Nel Sinai a Sud, sul Golan a Nord e forse ormai anche a Gaza, i qaedisti sono già ai confini d’Israele.
C’è la speranza che israeliani e Hezbollah abbiano interesse a restare dentro i limiti della faida: a Gerusalemme si vota fra un mese; nei Territori occupati i palestinesi stanno conducendo un’Intifada minore ma pericolosa; fino ad ora Israele ha sempre tenuto le distanze dal caos siriano nel quale sarebbe fagocitato da una nuova guerra nel Libano Sud. Hezbollah già combatte in Siria e Iraq: sta consumando uomini e risorse materiali. La sopravvivenza del regime siriano è vitale per gli sciti libanesi, la guerra a Israele per ora no. Ma gli animi sono eccitati e l’ostilità è profonda.
Negli altri sanguinosi conflitti mediorientali l’Italia si è sempre responsabilmente chiesta se e come partecipare: se inviare una forza di pace in Libia; se limitarsi in Iraq a un aiuto militare e umanitario, senza partecipare ai bombardamenti delle postazioni dell’Isis. In Libano non esistono dubbi di questo genere: abbiamo già sul campo una forza di 1.200 donne e uomini inquadrati nell’Unifil, i caschi blu dell’Onu incaricati di tenere separati israeliani e palestinesi. Anche il comandante dell’intera forza Unifil – meno di 13mila uomini di 36 Paesi, impiegati in varie forme – è un parà italiano, il generale Luciano Portolano. Se israeliani e Hezbollah decidessero di riprendere la loro guerra, nessuna forza potrebbe fermarli.