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 2015  gennaio 29 Giovedì calendario

Un duro colpo alla ’ndrangheta in Emilia: 163 arresti. L’infiltrazione dei clan negli appalti post terremoto. Nelle intercettazioni due indagati ridono per il sisma del 2012

La trama è la stessa, le variabili no. La trama è quella, trentennale, della penetrazione della cosca di ’ndrangheta cutrese (Crotone) Grande Aracri nelle province di Reggio Emilia, Modena, Brescia e nella bassa mantovana. Le variabili sono le presenze di professionisti e profili che, di volta in volta, concorrono a rendere sempre più forte l’economia criminale e più debole mercato, concorrenza e competitività.
Ecco l’operazione “Aemilia”, condotta dai Carabinieri e coordinata dal pm della Dda di Bologna Marco Mescolini (l’ordinanza è stata firmata dal gip Alberto Ziroldi) che ieri ha consentito l’arresto di 163 persone tra Emilia Romagna, Lombardia, Piemonte, Veneto, Calabria e Sicilia. Gli indagati sono 200, a vario titolo accusati di associazione mafiosa, omicidio, estorsione, reimpiego di capitali di illecita provenienza, riciclaggio, usura, emissione di fatture per operazioni inesistenti, trasferimento fraudolento di valori, porto e detenzione illegali di armi da fuoco, danneggiamento e altri reati, aggravati dal metodo mafioso.
Non è più una sorpresa l’infiltrazione nel settore degli appalti post terremoto del 2012, che sarebbe riconducibile soprattutto ad una serie di imprese edili e del movimento terra legate ai lavori ottenuti da un grande imprenditore della provincia di Reggio Emilia, così come non sono una sorpresa le risate sul sisma e sui possibili ritorni economici (accadde anche per il terremoto a L’Aquila) in un dialogo intercettato il 29 maggio 2012 dagli investigatori tra alcuni indagati. «Come sempre in questi casi – scrive il sostituto procuratore nazionale antimafia Roberto Pennisi nella relazione Dna 2014 – si registra l’arrivo attraverso imprese costituenti loro diretta promanazione, ovvero ad esse collegate, delle formazioni criminali, come le api sul miele. E non si esita ad affermare che ciò si sia verificato sulla base di un meccanismo che si era cominciato ad elaborare in occasione di diverso evento tellurico in altra zona (Abruzzo), ove un fenomeno del genere aveva avuto modo di constatarsi».
Secondo il pm antimafia Pennisi le formazioni che in Emilia girano intorno alla ‘ndrina che fa capo a Nicolino Grande Aracri, spiccano nell’universo ‘ndranghetista per la loro rivendicata autonomia rispetto alla ‘ndrangheta della Provincia di Reggio Calabria, che nel territorio settentrionale in cui si è espansa ha attuato il sistema della colonizzazione e questa operazione sembra testimoniare la voglia di autonomia.
Anche in questo modo le cosche calabresi (ma pure i clan della camorra) si sono arricchite talmente tanto negli anni che non sorprende neppure il fatto che ieri siano stati sequestrati beni per circa 100 milioni.
Per il procuratore nazionale antimafia Franco Roberti, che ieri sedeva a fianco del capo della Procura di Bologna Roberto Alfonso, la propaggine della cosca Grande Aracri di Cutro, che in Calabria incassava cospicue risorse attraverso un complesso giro di fatturazioni false, era «molto radicata e molto pericolosa. Un intervento giudiziario che non esito a definire storico, senza precedenti, imponente e decisivo per l’azione di contrasto giudiziario alle mafie al Nord e in particolare all’insediamento ‘ndranghetista».
Nell’ambito delle indagini della Dda di Bologna, l’attuale sottosegretario alla presidenza del Consiglio Graziano Delrio fu sentito come persona informata sui fatti, come ha ricordato Alfonso. Delrio, ex sindaco di Reggio Emilia, fu sentito nel 2012. «Volevamo capire in che tipo di considerazione la società di Reggio Emilia teneva la comunità calabrese» ha detto Alfonso, aggiungendo che furono sentiti altri politici reggiani. Nella rete è caduto anche Domenico Grande Aracri, fratello del presunto boss Nicolino, avvocato penalista. Ci sono poi ex uomini delle Forze dell’ordine e politici come Giuseppe Pagliani, consigliere comunale e provinciale di Forza Italia a Reggio Emilia, anche lui avvocato. Per lui l’accusa è di concorso esterno in associazione mafiosa.
Non è il solo politico a essere finto nella maxioperazione. C’è anche il sindaco di Mantova Nicola Sodano di Forza Italia. Sodano, indagato nell’ambito di una inchiesta della Procura di Brescia, collegata all’operazione Aemilia della Dda di Bologna e con l’analoga indagine della Dda di Catanzaro, sarebbe accusato di favoreggiamento per una vicenda legata ad un appalto in cui è coinvolto un imprenditore arrestato.
L’unico commento filtrato in serata da Sodano, mentre i Carabinieri erano ancora all’opera per sequestrare nel suo ufficio carte e documentazione, è stato un: «Sono serenissimo».