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 2015  gennaio 29 Giovedì calendario

Le mille facce di Günter Wallraff, il giornalista tedesco che da mezzo secolo, sotto falso nome, entra nelle fabbriche, nei call center e nei fast food per denunciare le ingiustizie. «Quando ho fatto il postino neanche in Germania mi hanno riconosciuto: forse dipende dalla divisa che inghiotte la persona. Altre volte uso barba e capelli finti e arrivo a modificare la mia stazza»

È il giornalista investigativo più famoso d’Europa. Da mezzo secolo si infiltra sotto falso nome in fabbriche, uffici, magazzini, call center, ricoveri per senzatetto, redazioni di giornali, per smascherare soprusi e prepotenze. È stato immigrato turco, profugo somalo, ex alcolista senza casa, telefonista. Günter Wallraff non è soltanto un nome: è un metodo che fa scuola, ben oltre la Repubblica Federale, che a modo suo ha contribuito a cambiare. In Italia i suoi libri sono pubblicati da L’Orma editore e oggi riceverà a Roma il Premio Morrione. In questa intervista, spiega che cosa lo spinge e dove vuole arrivare.
Wallraff, com’è possibile che in Germania non la riconoscano?
«Io stesso ogni volta mi stupisco. Quando per mesi mi sono travestito da postino, percorrendo centinaia di chilometri per consegnare pacchi, ho avuto di fronte migliaia di persone che non mi hanno riconosciuto. Credo dipenda dall’uniforme: la divisa inghiotte la persona. Non ti guardano nemmeno in faccia; lo sguardo altrui ti identifica con una funzione e scorre via, confondendoti nella massa anonima. Altre volte però, come quando, recentemente, mi sono travestito da investitore, devo lavorare di più sulla mia persona: lenti a contatto, barba, anche stazza fisica: ho dovuto ingrassare».
Nell’era di internet e dell’elettronica lei usa barbe finte, nerofumo, trucchi di un altro secolo.
«Ci sono persone reattive, che vogliono umanità, non si accontentano delle pure notizie su internet, e cercano proprio questo, che uno dichiari il proprio impegno per qualcosa e si metta in azione di persona. Non attraverso internet o dossier anonimi; questo pubblico vuole che vengano cercate testimonianze; e che, se necessario, si corra anche il rischio di essere citati in tribunale. La cosa che mi stupisce favorevolmente è il grande numero di giovani che cercano questo impegno personale e non si accontentano di resoconti virtuali sulla rete».
Quanto attore si nasconde in lei?
«No, lo sottolineo spesso: sarei un pessimo attore, se dovessi recitare una parte preparata uscirei sempre dal copione. Per me non si tratta di recitare un ruolo, ma di avvicinarmi alle persone, capire chi sono, identificarmi con loro. Quando entro in una nuovo personaggio, divento un altro, sogno anche come sognerebbe la persona in cui mi calo. È una forma di ricerca di identità. Forse, lo ammetto, anche di rafforzamento dell’identità. Da giovane ero timido e introverso. Entrando nei personaggi divento più sociale, più solidale e anche più sicuro. Oggi, di solito, sono una persona molto quieta; ma quando nei ruoli in cui mi calo subisco un torto o entro a contatto con persone che patiscono l’ingiustizia, viene fuori un altro lato di me».
Nel Sud dell’Europa vediamo la Germania come una potenza economica che scoppia di salute. Ci sono macchie scure?
«Altro che macchie scure. La Germania va forte, le azioni dei grandi gruppi, i Konzerne, salgono. Ma chi paga il prezzo, chi porta il peso? Chi rimane ai margini diventa invisibile. C’è un’accelerazione, una spietata compressione dei destini delle persone. Le persone sono iperstressate, insieme con il Giappone la Germania è il paese che fa meno figli al mondo. È una società di caste, non più di classi: i ricchi diventano sempre più ricchi anche grazie alle agevolazioni fiscali. I dati: la metà inferiore della società possiede un centesimo della ricchezza nazionale; la metà superiore possiede il 99; il vertice del 10 per cento possiede i due terzi del patrimonio globale e la tendenza aumenta; un quarto della popolazione è emarginata».
Stiamo parlando però di una grande democrazia.
«Sì, la Germania è una democrazia e ci sono stati anche sviluppi positivi. In passato, un presidente regionale bavarese, riferendosi all’immigrazione, poteva parlare di “intollerabile mescolanza della popolazione tedesca”, oggi non gli sarebbe più permesso. È importante il legame con l’Europa, del quale abbiamo bisogno. Anche la cancelliera Merkel, recentemente, ha cominciato a dire che siamo una terra di immigrazione. Anni fa era molto diverso».
Parlava di ingiustizia, dove l’ha trovata?
«Soprattutto nei settori che conoscono un boom, per esempio spedizioni, call center; anche nei grandi Konzerne, dove i dipendenti che godono ancora di diritti vengono sostituiti con collaboratori che ne sono privi e che fanno lo stesso lavoro. I grandi gruppi scaricano le proprie responsabilità e i propri obblighi in sub-sub appalto, una tendenza in aumento; in Germania c’è il job-wunder, il miracolo dei nuovi posti, ma quali? Sono precari, ma per le statistiche va tutto bene. Per la tv pubblica ho realizzato una trasmissione, “Team Wallraff”, alla quale collaborano giovani reporter. Abbiamo fatto un’inchiesta sui fast food, trovando condizioni di lavoro e igieniche inimmaginabili, tanto che la catena Burger King è stata indotta a separarsi dalla società turco-russa alla quale aveva concesso il franchising. Poi abbiamo indagato sui ricoveri per immigrati, talvolta in mano a custodi razzisti. E a febbraio tornerò in campo, con una nuova identità».