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 2015  gennaio 29 Giovedì calendario

La Vucciria, come raccontare la storia raccogliendo il silenzio di un quadro, partendo dal quale è bello immaginare gli sviluppi e le coincidenze possibili. Un’opera sui generis, con le musiche di Marco Betta e la voce impastata di fumo di Andrea Camilleri

La Vucciria esce dal quadro più celebre di Renato Guttuso e diventa un’opera sui generis. Si anima in immagini video e in suoni, con le musiche di Marco Betta (coro, orchestra e voci di strada), e ci parla anche con le parole (e la voce impastata di fumo) di Andrea Camilleri. «Un narratore o un commediografo davanti alla Vucciria avrebbero materia di scrittura sino alla fine dei loro giorni», ha scritto il padre del commissario Montalbano. E infatti gli si deve un racconto, La ripetizione (Skira 2008), ispirato a quello che per lo storico dell’arte Cesare Brandi era un «quadro nero». Ora, a raccogliere la sfida di Camilleri, è Roberto Andò, con una regia stratificata e compatta, giocata su livelli molteplici, convergenti nella rappresentazione che il pittore volle restituire del mercato storico di Palermo. Un’opera centrifuga e centripeta, che si allontana dal nucleo vivo del dipinto, per ritornarvi di continuo, attratta dalla sua forza magnetica, ambigua, realistica e insieme visionaria. «La Vucciria la conosco bene – ha scritto Camilleri – negli anni ’44-’45 frequentavo l’università di Palermo e quasi ogni giorno mi ci recavo per mangiarvi ‘u pani cu ‘a meusa di cui ero ghiottissimo». La pagnotta con la milza bollita è una delle specialità medievali che si possono ancora mangiare tra via Roma, piazza Caracciolo e via dei Maccheronai.
«È l’idea di raccontare la storia raccogliendo il silenzio di un quadro, partendo dal quale è bello immaginare gli sviluppi e le coincidenze possibili», dice Andò. Una drammaturgia non tradizionale, che dialoga con la complessità di un’opera pittorica che, secondo Andò, «rappresenta lo spazio dell’abbondanza e insieme la fatica nel mantenere fede a quella abbondanza». Uno spazio che il regista vede annichilito dalla prosperità e dalla sua promessa di felicità, carico di figure «assorte e disperse, trasognate ma in azione». La particolare video-opera di Andò («Il quadro nero», al Teatro Massimo di Palermo dal 7 febbraio) comprende dunque anche immagini digitalizzate, una sorta di ricostruzione cinematografica rallentata, capace di dilatare il tempo, cogliendo particolari impercettibili del quadro e inscenando una sorta di movimento liturgico. «Due sono i personaggi che ci interessano: l’uomo al centro del quadro col volto e i capelli da inca, e la donna di spalle». Sono Francesco Scianna e Giulia Andò.
Ma dove vanno? Si adocchiano? Si cercano? Si incontreranno mai? O si sfioreranno soltanto? «Con loro, lo spazio del mercato diviene il luogo ipnotico di una sospensione, senza orientamento e senza tempo. Cosa li lega in quei pochi attimi in cui si guardano: la speranza o la delusione, il tormento o la compassione, il desiderio o il vizio?». È un mercato della mente, quello narrato da Andò, una Vucciria del possibile, del vuoto che si frappone tra l’esposizione della merce e la distruzione di tutto quel ben di Dio, verdure, frutti, pesci, formaggi, salumi... Fu lo stesso Guttuso a confessare, condividendo l’idea del «quadro nero» espressa da Brandi: «A un certo punto, mentre dipingevo, mi sono accorto come tutta quella abbondanza di vita contenesse, nel fondo, un senso distruttivo. Senza che io ci pensassi o volessi, la tela esaltava un senso di morte». Parole che avrebbe sottoscritto, probabilmente, anche Goffredo Parise, secondo cui nessun quadro «ha mai espresso con tanta intensità il sentimento profondo del nostro paese».
Andò è partito da qui, dal luogo più tipico di una comunità, il mercato, per cercarvi l’identità di un intero paese che crea e spreca, promette e delude, eternamente sospeso tra una felicità intravista e la catastrofe annunciata. Lo spettacolo è una natura morta che si fa movimento: dalla voce in prologo di Camilleri – che parla di una perdita di direzione, della molteplicità di colori e insieme della mancanza d’aria – si affaccia, al buio, un labirinto di altre voci, mentre con l’orchestra parte il film, dove le luci oscillanti del mercato si accendono lentamente, e sulla scena prendono posizione le figure, come nel quadro di Guttuso, immerse nel generale senso di abbandono notturno e di liturgia insensata che aleggia sul tutto. E il tempo sembra rarefarsi sotto l’inquietudine di una domanda forse senza risposta: che cosa ne faremo di noi?