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 2015  gennaio 29 Giovedì calendario

Il triste inverno di Adriano Galliani, solo, contestato e senza più potere. L’ascesa di Barbara Berlusconi al Milan lo ha spinto a un graduale conflitto interno: ora è il parafulmine ideale

Mentre la Lazio demoliva i pallidi eredi di Van Basten e Baresi, Galliani ha incassato una contestazione durissima. Poiché qualcosa di simile gli era già successo nel 1997, nel 2002 e l’anno scorso, lui ostenta l’animo battagliero. Come gli accade ogni mattina dal 20 febbraio 1986, anche ieri si è svegliato pensando al Milan: appartiene a un’iconografia arcinota il blitz romano per Destro in favore di telecamera. Ma non è più la stessa cosa.
Il Milan non vince proprio più, anzi fa perdere parecchi soldi a Fininvest, e l’idea di quotarlo sulle borse asiatiche, per non dovere cedere parte delle quote azionarie o addirittura la maggioranza, è il segno dell’allarme finanziario. Berlusconi ha quasi 79 anni, Galliani quasi 71. E il braccio destro per definizione appare sempre più indebolito, accerchiato, depotenziato. Forse non abdicherà (in queste ore è spuntata la bizzarra ipotesi Parma), ma certo ogni resistenza ha un limite.
Non osi separare l’uomo ciò che il Milan unisce. Però una donna ci può riuscire. Barbara Berlusconi, per tutti ormai la Dottoressa, dal 2011 ha eroso il potere di Galliani: nella nuova sede del Portello da lei voluta non c’è più traccia del plenipotenziario – dittatore, dicevano in via Turati – che fu. La Curva Sud, col comunicato in cui censurava il mercato ed esaltava con fin troppa evidenza il marketing gestito da Barbara, ha fatto capire da che parte sta. Con l’ad che ha 40 anni in meno, parla di futuro, progetta lo stadio nuovo come suprema occasione di rilancio e soprattutto, essendo la figlia del proprietario, forse lo convincerà a spendere ancora.
La cronistoria più recente chiarisce la situazione. Il 3 novembre 2013 Barbara chiede al padre «un deciso cambio di rotta: il Milan non ha speso poco, ma male». Il 29 Galliani si dimette e il 30 il padrone si inventa la formula del doppio ad: alla parte commerciale la figlia, alla parte sportiva l’amico Adriano, la cui ricca liquidazione (50 milioni) viene congelata e il cui ruolo, votato dal cda, continua a fruttargli un ottimo stipendio (2 milioni). Tuttavia non è più in carico al Milan, ma a Fininvest, con un contratto fino al 2018: certi particolari hanno la loro importanza. Ne ha parecchia ciò che succede dopo. Il comunicato del gennaio 2013 con cui Barbara anticipa l’esonero di Allegri e l’assunzione di Seedorf, anche se poi il pupillo del presidente verrà messo sotto la tutela di Galliani e ripudiato: Inzaghi piace all’intera triade. L’ascesa dei fedelissimi della Dottoressa e l’addio a dirigenti storici: già defenestrato Braida (che si è consolato col Barcellona), escono Masi, Massaro, Gozzi, salgono Kalma, Ubertini, Marchesi, Geronimo La Russa. Il lancio del museo, dello store e del ristorante. L’annuncio del rinnovo dell’accordo commerciale con Emirates. Il progetto dello stadio di proprietà e gli incontri sul tema col Comune. Il graduale confino interno dell’uomo che tutto poteva e che via via vede ridotti i margini di spesa, addirittura i biglietti omaggio per invitare parenti e amici alla partita.
Il resto lo fanno i pessimi risultati della squadra, che accentuano l’evidenza di un mercato poco lungimirante e troppo legato alle scommesse sui parametri zero e sui prestiti. Se la parte sportiva va male, il responsabile è l’accentratore Galliani, ben più del neofita Inzaghi, che ha l’alibi dell’inesperienza e agli occhi dei tifosi il credito degli eroi milanisti, preservati dalla contestazione. Così il dirigente che sfoggiava Gullit e Shevchenko, Weah e Kakà, Thiago Silva e Ibra diventa lo zimbello anche retroattivo della curva: gli imputano con pari ferocia Javi Moreno e Smoje, Traoré e Viudez, Torres e Armero. È il parafulmine ideale, anche per Berlusconi. Grazie all’amico Adriano sbiadiscono i venerdì a Milanello: quelli dei proclami sulla squadra che poteva lottare alla pari con Juve e Roma.