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 2015  gennaio 29 Giovedì calendario

La vera storia della @ che non tutti chiamano “chiocciola”. In Cina è “topolino” in greco “papero”. È straordinario in quanti modi riesca a travestirsi nelle diverse lingue

In cinese mandarino è xiao laoshu, ovvero topolino. In Svezia e in Groenlandia è Snabel-a, ovvero a-proboscidata. In Russia, in Uzbekistan, è cagnolino. In polacco, in bulgaro e in frisone è scimmia. In rumeno e in estone è coda di scimmia. In ungherese è verme. In greco papero. In turco è il fonetico et, ma non at, che sarebbe invece cavallo. Ma potrebbe essere, in omaggio alla nota germanofilia dei turchi, anche çengelli a (a uncinata), oppure, molto più poeticamente güzel a (bella a). I giapponesi lo chiamano semplicemente attomaku, segno di at. Ma anche naruto, che è un cilindro di pesce salato che, una volta tagliato a fette mostrerà la caratteristica spirale. Nella maggior parte dei dialetti arabi si dice fi. In francese il termine ufficiale è arobase, che forse proviene dallo spagnolo arroba (l’unità di misura corrispondente a un quarto di quintale che nei brogliacci dei mercanti medievali veniva scritto @). Ma se si tiene presente il nazionalismo linguistico ultrà dei francesi (gli unici al mondo a ostinarsi a chiamare ordinateur il computer) è più probabile che venga da a rond bas, cioè “a minuscola rotonda”. Pur di differenziarsi dal resto del mondo non hanno nemmeno preso in considerazione che possa venire proprio dal francese à, nel senso di al tasso di, laddove gli scribi amanuensi avrebbero arrotondato con elegante svolazzo l’ accent grave.
Se volete sapere tutto quello che avreste voluto sapere e non avete mai osato chiedere (o per converso non vi è mai importato granché di sapere) sul segno @, andate a leggervi Biografia di una chiocciola. Storia confidenziale di @ di Massimo Arcangeli (Castelvecchi, pagg. 116, euro 16,50). Vi troverete vita e miracoli, parentele vicine e lontane, equivoci e illazioni, affinità, camuffamenti e trasformazioni, nonché una ricca documentazione di immagini del segno che onnipresente negli indirizzi di posta elettronica funge inevitabilmente come separatore tra il nome e l’indirizzo vero e proprio del destinatario. In italiano lo conosciamo come chiocciola (che è anche il nome di animale più ricorrente nel vero e proprio zoo delle denominazioni nelle altre lingue).
È probabile che nel resto del mondo vi capiscano se lo chiamate con la denominazione inglese di at o commercial at, che poi vorrebbe dire semplicemente “a” o “presso”. Ma non è detto. Una delle cose più straordinarie nella vita intima di @ è in quanti modi riesca a travestirsi nelle diverse lingue, anche se il suo significato è univoco e universale. Più irritante ancora come riesca a travestirsi nelle tastiere: in quella del mio computer, che è italiana, per ottenere @ bisogna premere almeno due tasti, di cui uno strano: Alt-Gr più quello in cui tiene compagnia a ç e a ò; in altre lingue e tastiere basta premere la maiuscola e il tasto corrispondente, in qualche caso ha addirittura diritto ad un tasto tutto per sé.
Bizzarra ambiguità di uno dei simboli più usati. Nemmeno inglesi e americani lo chiamano allo stesso modo. Anche loro non riescono a sottrarsi alle affinità zoologiche. Può capitare di sentirlo chiamare dagli anglofoni snail (che poi sarebbe lumaca o chiocciola), oppure ape (scimmia), cat (gatto) rose (rosa). Ma, tanto per accrescere la confusione, c’è anche chi in America lo chiama ampersend (che richiama vagamente il senso di “segno di invio”) per affinità con un altro segno almeno una volta ancora più universale: l’ ampersand che sta per &, cioè et, e congiuntivo, and. Entrambi i segni erano originariamente eleganti abbreviazioni con svolazzo, da tracciarsi regolarmente a mano, e solo più tardi introdotte anche come carattere tipografico. Mi viene da chiedermi quanti siano ancora in grado di tracciarli a penna senza ridursi a fare uno sgorbio. Confesso subito: io no. Anacalligrafismo, se non proprio analfabetismo, di ritorno.
Massimo Arcangeli è uno studioso serio. Leggiamo dalla nota di controcopertina: docente di linguistica italiana all’Università di Cagliari, membro del collegio di dottorato della Sapienza di Roma, garante per l’italianistica nella Repubblica slovacca, direttore dell’Osservatorio della lingua italiana Zanichelli, coordinatore di diverse iniziative editorali, collaboratore di Repubblica e del Fatto quotidiano. Ha messo insieme quasi tutto quel che si poteva dire e scrivere su e attorno @. Inclusi gli studi dello storico della scienza e paleografo Giorgio Stabile che già una quindicina di anni fa in un saggio per la Treccani intitolato L’icon@ dei mercanti rivendicava italianità cinquecentesca alle origini di simbolo commerciale che sta per “al prezzo di” della chiocciolina di Internet.
Con altrettante pezze di appoggio negli antichi manoscritti si potrebbe sostenere che quella “a” con lo svolazzo antiorario sta per “addì”, nel senso di data. L’italianità è una bella cosa, sempre difficile da smentire, e nel caso specifico anche molto probabile, visto che gli italiani di quei secoli avevano già inventato quasi tutto: bussola, partita doppia e falso in bilancio, banca e bancarotta. Arcangeli conduce la sua ricerca con garbo e competenza, e anche con una buona dose di humour. La arricchisce con immagini e persino scatti fotografici personali, su variazioni e impersonazioni inaspettate della fatidica “a” col ricciolino. Suggestive, anche quando non è chiaro cosa c’entri con l’argomento, come nel caso delle A iscritte nel cerchio dei simboli degli anarchici e delle bellissime chiocciole e altri ghirigori a spirale nelle copie superstiti dei cartoni perduti di Leonardo da Vinci per la battaglia di Anghiari. Insomma, Habent sua fata simboli.
Ora aspettiamo un storia intima di #, hashtag, o cancelletto che dir si voglia. Anche quello nasce come simbolo commerciale. L’avevo conosciuto in America, ormai diversi decenni fa, che significava semplicemente “numero”. Condivide da molti anni un posto d’onore sulle tastiere dei telefoni, assieme ad asterisco, *. Su Internet si trovano saggi dedicati nientemeno che alla “teologia e spiritualità” di hashtag. Io che sono un po’ lento e demodè devo confessare di aver appreso che c’entrava con Twitter solo grazie a Matteo Renzi.