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 2015  gennaio 16 Venerdì calendario

«È l’incertezza a dominare il mondo. Non dobbiamo mai accontentarci di quel che sappiamo. Bisogna andare oltre». Il fisico Carlo Rovelli parla delle nuove frontiere della ricerca contemporanea e dei suoi paradossi

«Nella nostra vita quotidiana noi tutti abbiamo molte “certezze”. Ma troppo spesso queste si dimostrano infondate. La scienza ne tiene conto, e quindi guarda con sospetto a ogni certezza. Rimettere in dubbio le nostre certezze è il modo migliore per scoprire i nostri errori. Per questo da un lato la scienza, quando è buona scienza, preferisce evitare di avere “certezze assolute”, sapendo che queste possono sempre nascondere errori; dall’altro lato però, proprio per questo continuo rimettere in discussione tutto, la scienza ci offre le migliori certezze possibili. Le grandi scoperte scientifiche: che la Terra sia rotonda e giri intorno al Sole, che siamo emersi dall’evoluzione, o che la materia sia fatta di atomi, di queste cose siamo certi quanto si possa essere certi di qualcosa.
Insomma, proprio perché per la scienza non esistono “certezze assolute” essa è il migliore strumento che abbiamo per raggiungere quanto di più certo è concesso a noi creature mortali». Non ingannino i modi gentili, l’estrema semplicità, la modestia sorprendente. Carlo Rovelli è un esploratore eretico della conoscenza, uno dei fisici più importanti e innovatori della ricerca contemporanea. Aprirà, giovedì 22 all’Auditorium, il Festival delle Scienze con la lectio “La scienza ci dà certezze?” e affronterà alcuni temi a lui cari come quelli del tempo («Non esiste») e della realtà «che non ha niente da spartire con quel che vediamo».
Dice convinto: «Non dobbiamo mai accontentarci di quel che sappiamo. Bisogna andare oltre». Non è uno scherzo andare oltre le rivoluzioni epocali della fisica del ’900 che hanno sconvolto le nostre vite: la relatività einsteiniana, la scoperta della meccanica quantistica, l’avvento dell’era atomica... Eppure la scienza vuole farlo perché non è stato possibile inquadrarle in un sistema teorico coerente. Non se ne dette pace Einstein («Non posso credere che Dio giochi a dadi») commentando la distanza che separava la relatività con le leggi sullo spaziotempo dalla teoria probabilistica dei quanti e delle particelle elementari.
Rovelli spera di riuscirci trovando un accordo tra Einstein e Bohr, tra relatività e quanti, tra le forze delle interazioni forte, debole ed elettromagnetica con il problema insoluto della gravità, che rispetto a loro è stranamente molto più debole al punto che un piccolo magnete può vincerla attraendo un altro oggetto metallico. Si tratta di risalire all’origine dell’universo. È il tema del suo saggio, Il tempo prima del tempo (Adelphi), uscito dopo La realtà non è come ci appare (Raffaello Cortina Editore) premiato nel 2014 anno con il Merck Serono.
Professor Rovelli, perché il tempo non esiste?
«Lo sappiamo dalla relatività di Einstein che un orologio posto su un tavolo è un po’ più veloce di uno che sta per terra ma solo di recente lo abbiamo provato grazie a orologi precisissimi. È un effetto della gravità...».
Quali sono, a proposito di gravità, le prospettive che apre la ricerca su quella quantistica, per lei fondamentale?
«Oggi non esiste ancora un’ipotesi forte e chiara che possa darci un’interpretazione completa delle leggi della fisica e della realtà. Ci sono molte ricerche per capire cosa è successo all’inizio dell’universo e altre sui buchi neri. Io sto lavorando sui buchi neri. Ci finiamo dentro ma poi non si sa dove si va a finire... Si tratta di capire cosa succede non sulla superficie ma dentro. Ecco la pista della gravità quantistica. La materia forse non sprofonda fino a un punto centrale ma resta circoscritta in una piccola stella, la stella di Planck, e questa stella con il tempo riesce a uscire dal buco nero e a distruggerlo. Adesso speriamo di calcolare queste esplosioni. Se ci riuscissimo sarebbe una conferma della gravità quantistica».
Lei si sofferma spesso sul tema del nostro rapporto con la realtà sottolineando che non è quella che percepiamo. In effetti, nessuno ha mai visto un atomo o una particella...
«Certo, e non basta dire che la realtà dipende dalle particelle elementari che non vediamo: noi stessi siamo fatti di particelle elementari! Nessuno ha mai visto l’umidità ma possiamo sentirla sulle nostre spalle o vedere l’acqua raccolta in un deumidificatore. Quando in laboratorio facciamo gli esperimenti, ci accorgiamo del passaggio di una particella perché lascia una traccia come la scia di un aereo».
Come giudica il fatto che tra gli scienziati, sui grandi problemi da risolvere, ci siano idee diversissime?
«È la guerra buona (sorride) perché dal confronto e dalla discussione nasce la verità. Sarebbe terribile se tutti la pensassero allo stesso modo. Sarebbe un impoverimento».