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 2015  gennaio 16 Venerdì calendario

Il traffico dei vestiti usati. La camorra è riuscita a fare milioni anche con gli con gli abiti di seconda mano

Inizialmente era un’indagine sul traffico di vestiti usati, quelli raccolti negli appositi cassonetti in molte città e destinati – dopo adeguati trattamenti di pulizia e igiene – ai più bisognosi. Un servizio pubblico nel quale s’era infiltrato il malaffare e probabilmente una fetta di camorra napoletana: gli abiti donati venivano raccolti da società e cooperative gestite da personaggi che non si dedicavano ad alcuna lavorazione (oppure lo facevano solo parzialmente) e poi spedivano clandestinamente i carichi verso l’Africa e l’Est europeo. Una truffa che garantiva spese ridotte rispetto a quelle da sostenere rispettando le procedure, e guadagni maggiorati. 
Questo ha accertato l’indagine della Squadra mobile di Roma, facendo ipotizzare alla Procura un’associazione a delinquere che nel solo 2012 ha prodotto un giro d’affari di oltre un milione e mezzo di euro: circa 1.300 tonnellate di «rifiuti tessili» gestiti fuori dalle regole, lucrando sulla generosità dei cittadini e l’aiuto agli indigenti. Ma i magistrati ipotizzano il trattamento fraudolento di almeno «12.000 tonnellate, con conseguente possibilità di guadagno di vari milioni di euro». Nonché l’estensione della truffa a zone sempre più vaste del Paese. 
Poi è arrivata l’inchiesta su «Mafia capitale» e le cooperative gestite da Salvatore Buzzi, considerato il «grande corruttore» della politica e dell’amministrazione capitolina, oltre che «anima imprenditoriale» della presunta associazione mafiosa guidata da Massimo Carminati. E allora il giudice dell’indagine preliminare Simonetta D’Alessandro, che ieri ha ordinato l’arresto di quattordici persone, ha voluto inserire anche questa speculazione nei possibili interessi del gruppo criminale. Perché tutto passa per l’Ama, l’Azienda municipalizzata a cui fa capo anche quel tipo di raccolta differenziata, sulla quale – nel periodo in cui era sindaco Gianni Alemanno, lo stesso coperto dalle verifiche della Mobile – «Mafia capitale» avrebbe esercitato un forte condizionamento. 
«L’Ama registra nomine volute dalla consorteria mafiosa – accusa il gip D’Alessandro —, riconducibili direttamente ai disegni di Carminati e Buzzi, rimozioni parimenti targate e contatti corruttivi continuativi». Un «sistemico e patologico intreccio tra delitti di criminalità organizzata e distorsione dell’azione amministrativa», in cui il magistrato contestualizza anche quest’altra storia. 
Una delle persone coinvolte nell’indagine sul traffico di indumenti è la stessa che nell’inchiesta per mafia risultò accordarsi con Buzzi per rinunciare a un appalto per la manutenzione dei giardini nelle ville storiche alla quale era interessato il presunto socio occulto di Carminati. Un patto a metà tra intimidazione e promesse di affari futuri, che secondo l’accusa risponde a una precisa logica (mafiosa) per la spartizione degli affari realizzati col denaro pubblico. 
Ora i controlli sulla raccolta dei vestiti regalati dai cittadini che stanno meglio a quelli più poveri alza il velo su un nuovo aspetto del malaffare. Il trattamento dei panni da riciclare veniva assegnato con procedure agevolate ad associazioni «non profit» come le cooperative, proprio per le sue caratteristiche «sociali»; garantendo – nelle intenzioni – un sostegno alle persone disagiate e il rispetto di norme igieniche rigorose. Invece gli abiti venivano presi e portati negli stabilimenti dove dovevano essere lavati e disinfettati, ma la procedura non era rispettata per niente, o solo in minima parte. 
I camion per i trasporti venivano stipati di indumenti chiusi negli stessi sacchetti lasciati dai donatori, e solo l’ultima fila, quella visibile a un’ispezione superficiale, era composta dagli appositi sacchi bianchi riempiti con le stoffe trattate regolarmente. La polizia l’ha verificato su un camion fermato il 28 novembre 2012, e una e-mail inviata da uno degli arrestati al destinatario del carico in Tunisia ne spiegava il motivo: «Sono cominciati dei controlli nei porti per vedere se la merce è stata completamente igienizzata. Spero che hai capito. Dillo anche ai nostri clienti. Quando passerà questo momento ricomincio a fare quello che abbiamo sempre fatto». 
A Roma e in un numero sempre maggiore di altre città, come emerge dalle conversazioni intercettate. Le società gestite dagli indagati, riferiscono gli inquirenti, «stanno espandendo la loro competenza su diversi comuni del territorio nazionale. In particolare è in via di conclusione un contratto con la Caritas per la raccolta degli indumenti usati presso i Comuni di Bergamo e Brescia. Il giro di affari è impressionante poiché si parla di numerosi quintali di materiale da poter rivendere». 
I camion viaggiavano con documentazione falsificata che certificava «processi di trattamento e recupero» mai avvenuti. Nella ricostruzione dell’accusa la centrale di raccolta era in Campania, gestita dal clan di camorra (ora disciolto, specificano gli investigatori) dei fratelli Cozzolino. Uno dei quali – Aniello, tra i destinatari dell’ordine di arresto – risulta latitante in Sud Africa da tempo. Proprio in Sud Africa era indirizzata, secondo gli inquirenti, una parte degli abiti sottratta alla gestione regolare. Non tutta, scrive il gip, «dal momento che molti carichi raggiungono anche l’Europa dell’Est e vengono presumibilmente collocati nel Maghreb».