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 2015  gennaio 16 Venerdì calendario

La Russia accusa l’Ucraina di furti sulle condutture e decide di tagliare il 60% delle forniture di gas: i Balcani restano al gelo. La risposta dell’Unione europea: ancora sanzioni, inaspriamo l’embargo energetico

Nel pomeriggio di ieri è riapparso lo spettro della penuria energetica per l’Unione Europea, dopo che il presidente russo Vladimir Putin ha ordinato alla compagnia Gazprom di interrompere il transito di gas attraverso l’Ucraina, pari al 60 % delle forniture russe ai Paesi UE, da 221 milioni a 92 milioni di metri cubi giornalieri, accusando quelli di Kiev di rubare gran parte del metano aggirando così gli accordi che pure erano stati raggiunti pochi mesi fa per ripianare lo storico debito nei confronti di Mosca.
L’ordine del Cremlino è stato confermato dal direttore della Gazprom, Alexei Miller: «La decisione è stata presa a causa dei rischi di transito sul territorio ucraino per i consumatori europei. L’alternativa sarà sviluppare al più presto il Turkish Stream per esportare il metano evitando l’Ucraina». Gli ha fatto eco il ministro dell’Energia, Alexander Novak: «Devieremo il gas su un prossimo gasdotto turco a causa di nazioni inaffidabili». Con riferimento all’Ucraina, con la quale prosegue il braccio di ferro strategico.
Per ora sono sei i Paesi più direttamente colpiti e che hanno segnalato entro la serata l’arresto del gas russo: Bulgaria, Grecia, Macedonia, Romania, Croazia e Turchia. Tutti Paesi gravitanti sui Balcani. E non è un caso, perché proprio dai Balcani doveva passare il progettato gasdotto South Stream, “Flusso del Sud”, una tubazione di 3600 km che fra pochi anni avrebbe portato 63 miliardi di metri cubi annui di gas in Europa saltando totalmente il territorio di Kiev, con vantaggio per tutti. Quel progetto, di cui era capofila Gazprom, è stato annullato alla fine del 2014 dopo che la stessa Unione Europea, non considerando i pregi della struttura, aveva attaccato la posizione predominante dell’agenzia russa nel progetto.
E non è un caso nemmeno che proprio ieri, mentre Putin si arrabbiava, il Parlamento Europeo votava una inutile risoluzione che plaudiva all’annullamento del South Stream col pretesto di «diversificare le fonti d’approvigionamento di energia». Peccato che, se gli europarlamentari pensano a eventuale gas liquefatto spedito dagli Usa con navi, debbano anche calcolare che ci vorranno almeno due o tre anni e comunque non sarà una quantità paragonabile a quella proveniente dalla Russia. È chiaro quindi che la mossa del Cremlino è una ritorsione, e anche un segnale all’UE perché si renda conto di ciò che significa dire di no a una via di importazione alternativa a quella ucraina. Prima l’Unione ha fatto “saltare”, con un po’ di “masochismo”, un gasdotto che in realtà l’avrebbe messa al sicuro proprio da crisi Mosca-Kiev. Ma in queste ore a Strasburgo staranno comprendendo cosa significa vedersi mancare il metano a cagione delle liti altrui. Mosca inoltre ribatte con la nuova idea di una conduttura via Turchia di cui però, stavolta, chiede che sia l’Europa a sobbarcarsi parte delle infrastrutture. E c’è di più, dopo l’ipotesi sollevata settimana scorsa, sull’onda emotiva delle stragi di Parigi, di riguadagnare un alleato antiterrorismo come la Russia, alleggerendo le sanzioni, ancora l’Europarlamento ha ieri fugato queste voci votando un’altra risoluzione con cui la maggioranza dei deputati chiede invece sanzioni contro i russi proprio a livello energetico.
Ma i russi potrebbero sfruttare la stessa Corte Europea di Giustizia per aggirare il problema facendo togliere almeno le sanzioni ad personam, quelle comminate a singoli esponenti del governo di Mosca. Presso i giudici di Bruxelles sono stati presentati almeno 21 ricorsi, sul totale delle 132 persone e 28 enti colpiti dalle sanzioni dell’Unione e anche se le sentenze tardano, è probabile che i Paesi più colpiti dalla crisi dei commerci con l’Est, in primis Germania, Francia e Italia, facciano sentire la loro voce. Sempre a Bruxelles lunedì si riuniranno i ministri degli Esteri per decidere il da farsi. Se prevarrà la realpolitik ci si renderà conto che non si può pensare, almeno nei tempi brevi, di mettere all’angolo l’orso russo, data la sua importanza come fonte di energia, metalli e mercato di sbocco dei prodotti occidentali.