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 2015  gennaio 16 Venerdì calendario

La Grecia come cavia: «Se ce la facciamo, dopo di noi tutta Europa potrebbe cambiare». Parla Dimitris Liakos, 43 anni, economista, responsabile del programma fiscale di Syriza

Solo una settimana fa da Berlino soffiavano verso Sud raffiche di vento ghiacciate. Basta sconti sul debito, piuttosto meglio una «Grexit», l’uscita di Atene dall’euro. Poi il clima è cambiato. All’orizzonte sono comparsi il bazooka del «Quantitative Easing» di Mario Draghi e l’apertura alla flessibilità sui conti pubblici da parte della Ue. Si va in una direzione non così diversa da quella che chiedono gli estremisti ateniesi. E la probabile vittoria di Alexis Tsipras ha smesso di terrorizzare perché il giovanotto non pare più tanto estremista.
A disperdere i nuvoloni ha contribuito l’operazione fiducia di tanti sherpa, consiglieri economici del partito che in giacca e cravatta hanno fatto la spola tra Bruxelles, Londra e Berlino. Uno di questi tessitori è Dimitris Liakos, 43 anni, economista, responsabile del programma fiscale di Syriza.
«Vogliamo una soluzione in cui tutti possano dire di aver vinto. Noi viviamo una tragedia sociale in una fase di recessione e deflazione europea. Insostenibile».
E come potrebbe vincere l’Europa? Finanziandovi all’infinito?
«No, solo permetterci di tamponare la crisi umanitaria e rilanciare l’occupazione investendo ciò che oggi diamo in pagamento degli interessi».
E il debito?
«Noi crediamo convenga un hair cut, una riduzione nominale. Sappiamo che è difficile per gli altri accettarlo, ma ci sono tanti tecnicismi per ottenere un margine di entrate fiscali da investire nel Paese per poter stimolare l’economia».
Da comunisti siete diventati keynesiani ancora prima di andare al governo?
«Ne ho sentite di tutti i colori sul nostro programma. Anche che vorremmo nazionalizzare le banche. Mi facciano vedere dov’è scritto».
Perché bisognerebbe considerare ancora la Grecia un’eccezione?
«I nostri sono i problemi anche di Italia, Francia e Spagna. Le soluzioni che si troveranno per noi, varranno per tutti».
Condonare il debito italiano? Fallirebbe l’Europa.
«Non parlo dei buoni in mano ai privati, ma solo quelli detenuti da istituzioni pubbliche, nel caso greco l’80%. Mi riferisco anche alla proposta Renzi di non contabilizzare nel deficit gli investimenti pubblici o la flessibilizzazione del fiscal compact parzialmente accolti dalla Commissione Ue».
Ancora prima delle vostre elezioni ci sarà lo scontro sul Quantitative Easing.
«Noi chiediamo il QE già da cinque anni. Come verrà varato è da vedere, ma ho fiducia in Mario Draghi. A giugno, in un incontro con noi, ha assicurato che agirà con regole uguali per tutti. La deflazione è un problema dell’eurozona, la soluzione dev’essere paneuropea. Grecia, Spagna o Italia non avrebbero giovamento da un QE a velocità diverse».
Perché l’Europa dovrebbe fidarsi ancora? Dove sono finiti i 240 miliardi che avete ricevuto in 5 anni?
«Il 10% nella copertura del deficit dei primi due anni, il 20% per salvare le banche, il 70% per gli interessi. Certo è stato un prestito enorme e a condizioni molto favorevoli, ma la Grecia ci ha aggiunto manovre per 63 miliardi: il 40% da nuove tasse e il 60% da tagli. Abbiamo dimostrato di saperci correggere».
E ora potrebbe toccare a Syriza governare.
«Sarebbe l’inizio di un’era politica nuova, con nuovi responsabili, nuova cultura. Siamo come una cavia. Se ce la facciamo, dopo di noi tutta Europa potrebbe cambiare».