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 2015  gennaio 15 Giovedì calendario

Anche la Regione Toscana mette nel mirino Tiziano Renzi, il papà del premier, per il finanziamento concesso nel 2009 dal Credito cooperativo di Pontassieve alla Chil post srl e in gran parte non restituito, a causa del successivo fallimento della società

Il battagliero consigliere di Fratelli d’Italia della Regione Toscana Giovanni Donzelli da alcune settimane denuncia la presunta irregolarità di alcune vecchie operazioni finanziarie dell’azienda della famiglia di Matteo Renzi.
Donzelli contesta il finanziamento concesso nel 2009 dal Credito cooperativo di Pontassieve alla Chil post srl e in gran parte non restituito, a causa del successivo fallimento della società. Un crac su cui sta investigando la procura di Genova che ha iscritto sul registro degli indagati il babbo del capo del governo, Tiziano Renzi, per bancarotta fraudolenta. Il contributo di 437 mila euro erogato dall’istituto di credito era stato garantito da Fidi, la finanziaria della Regione Toscana. Per Donzelli quella garanzia non andava concessa. Il motivo? «È stata ottenuta presentando l’azienda come “a prevalenza femminile”, ma ancor prima di ricevere i soldi la mamma e le sorelle di Renzi avevano già rivenduto le quote a babbo Tiziano. Avrebbero almeno potuto aspettare qualche giorno».
L’altra obiezione è che a garantire per Chil post sia stata una società partecipata dalla regione Toscana, visto che il 14 ottobre 2010 nell’ultimo cda presieduto da Tiziano Renzi è stata votata «la proposta di trasferire la sede legale da Firenze a Genova» cambiando lo statuto. Lo stesso giorno la società viene venduta al ligure Gian Franco Massone, settantunenne pensionato e padre di Mariano, ex collaboratore di Tiziano Renzi, con lui indagato dai pm genovesi. La settimana prima della cessione, però, Renzi senior aveva ceduto un cospicuo ramo d’azienda proprio a moglie e figlie. Un’operazione che, secondo gli inquirenti liguri, aveva trasformato Chil post (con due milioni di debiti a bilancio, compreso il mutuo di Pontassieve) in una bad company. Per Donzelli la banca e i Renzi avrebbero dovuto comunicare a Fidi lo «svuotamento», la modifica dello statuto con relativo trasferimento e la perdita della «prevalenza femminile» nella compagine societaria. Il che non è avvenuto e non è chiaro per colpa di chi. Infatti lo spostamento in Liguria è stato sì proposto da Tiziano Renzi, ma il giorno della vendita della società e delle sue dimissioni da amministratore. Ieri a Firenze l’assessore regionale Pd al Lavoro Gianfranco Simoncini ha risposto ai quesiti di Donzelli, avvalorando le sue accuse: «Fidi Toscana avrebbe dovuto essere informata della cessione del ramo d’azienda (…) la banca finanziatrice ha l’obbligo di comunicare (…) le informazioni in suo possesso (…) così come le imprese devono comunicare a Fidi ogni fatto ritenuto rilevante inerente l’operazione garantita, comprese le informazioni relative all’assetto societario». Simoncini ha ricordato anche il rischio di sanzioni: «Se risultano non rispettate le finalità previste dal regolamento, l’agevolazione è revocata e l’impresa è tenuta a corrispondere un importo pari a due volte l’agevolazione ricevuta». Peccato che nel frattempo Chil post sia fallita. E allora chi pagherà, eventualmente, al suo posto? Il problema non angustia né la banca né Fidi visto che il 18 giugno scorso, con Renzi premier, il Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese, controllato dal Ministero dell’Economia e delle finanze attraverso Poste italiane, ha versato a Fidi Toscana 236.803,23 euro, ovvero il 90% dei soldi che la stessa Fidi aveva girato all’istituto di Pontassieve per onorare la vecchia garanzia. Da parte sua, il babbo del premier ha annunciato querele contro chi sta screditando la sua «credibilità bancaria e commerciale».