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 2015  gennaio 15 Giovedì calendario

È tregua in Procura a Milano: Robledo andrà a Venezia finché rimarrà in carica Bruti Liberati, il vice tornerà dopo la pensione del capo. Nessun verdetto sul merito dello scontro

La «mediazione istituzionale» del vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, Giovanni Legnini, sembra propiziare la tregua in Procura a Milano: oggi la prima commissione del Csm, invece di decidere se il procuratore Edmondo Bruti Liberati o il suo vice Alfredo Robledo o entrambi nuocciano all’ufficio per le accuse che si sono reciprocamente scambiati a partire dall’esposto 10 mesi fa di Robledo, accantonerà la procedura di eventuale incompatibilità ambientale; Bruti resterà capo a Milano fino alla pensione il 31 dicembre 2015; il Csm creerà le condizioni per l’urgenza di coprire un posto di sostituto procuratore generale a Venezia; e Robledo raccoglierà questo interpello e si offrirà volontario un anno a Venezia, potendo poi così subito tornare in Procura a Milano (dove nel frattempo Bruti sarà andato in pensione), e contando anche di riprendere il proprio posto di capo del pool anticorruzione dal quale era stato sollevato da Bruti.
Andrebbe bene a tutti perché salverebbe la faccia di tutti. Legnini potrà marcare un successo personale, se tale si misura la capacità di mettere la Procura al riparo da un conto alla rovescia dilaniante che già l’ha ammaccata. Robledo, che riteneva i propri argomenti schiacciati dalla contraerea pro Bruti al Csm (la corrente di Md, la sponda di laici di centrodestra, l’appoggio del presidente della Repubblica uscente), imboccherà una comoda via d’uscita temporanea a Venezia, manterrà la chance di tornare a breve al proprio posto e potrà dirsi pago di veder riconosciuta la dignità del proprio esposto nel momento in cui Legnini assicura che il Csm ridiscuterà in generale i rapporti tra potere gerarchico dei capi delle Procure e autonomia dei vice e dei singoli pm. Bruti potrà mantenere la guida della Procura nel cruciale periodo di Expo 2015 e salutare con soddisfazione che l’ufficio (di cui rivendica standard di efficienza) recuperi la serenità a suo avviso compromessa dall’asserito solipsismo di Robledo. E il Csm si risparmierà lo psicodramma di una resa dei conti.
Ma l’allineamento astrale, per poter funzionare, postula taciti corollari. I consiglieri Csm devono evidentemente accettare di farsi trattare come dei juke-box, che possono essere attivati o spenti a seconda delle sollecitazioni interne (di corrente) o esterne (di input istituzionali). Il futuro procuratore di Milano del 2016, chiunque sarà, partirà già dimezzato, perché l’unico modo per Robledo di essere sicuro di poter rientrare a capo del pool anticorruzione sarebbe che al momento della nomina qualcuno al Csm facesse presente al successore di Bruti la necessità di adempiere a una implicita cambiale accesa ora per disinnescare la mina; e ugualmente dimezzato sarà il prossimo dirigente del pool, che Bruti (oggi titolare della delega) deve ancora individuare, e che la logica del «pacchetto» vorrebbe fosse nominato solo a titolo provvisorio, dovendo tacitamente ri-lasciare il posto a Robledo al suo rientro. La corsia preferenziale per coprire un posto vacante di pg a Venezia suonerà schiaffo per le disagiate sedi giudiziarie che, specie al Sud, analoga premura in passato non hanno sperimentato. E ingenua resterà l’attesa di sapere se dimenticare (Bruti) una delicata indagine in cassaforte per tre mesi sia svista neutra; se depositare (Robledo) i soldi di un maxisequestro secondo le modalità di legge sia un obbligo o un optional; e se il vero o il falso sia stato detto al Csm da chi afferma (Bruti-Boccassini) o nega (Robledo-GdF) il sovrapporsi di un doppio pedinamento nelle indagini Expo.
La deludente lezione implicita è che i problemi in toga non si risolvono: si aggiustano. Le frizioni non si eliminano: si aggirano. Torti e ragioni non si appurano: si cloroformizzano in funzione delle mutevole geometrie. Vie d’uscita si trovano non nelle sedi istituzionali, ma circumnavigandole in colloqui esplorativi e telefonate informali. I proclamati rigidi principi diventano, alla bisogna, pastafrolle. I fatti non si chiariscono in veri o falsi, ma si lasciano galleggiare nell’indeterminatezza che li elide. La polvere non si spazza, ma si butta sotto il tappeto. Fino alla prossima (perduta) occasione.