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 2015  gennaio 15 Giovedì calendario

Parte in Guinea Equatoriale la Coppa d’Africa, il torneo segnato dall’incubo dell’Ebola. Nessuno voleva ospitare la competizione tranne il dittatore Teodoro Obiang

Il pallone africano prova a rotolare in salita, fugge la psicosi da epidemia, si rifugia in una terra minuscola sulla quale il mondo apre un occhio interessato ai giacimenti di petrolio e ne chiude l’altro davanti alla violazione dei diritti umani denunciate dalle ong internazionali. L’edizione n. 30 della Coppa d’Africa parte sabato e torna in Guinea Equatoriale, già sede nel 2012 (col Gabon). Si gioca all’ombra della dittatura del presidente Teodoro Obiang, al potere dal ’79. Per assicurarsi il successo d’immagine, il governo garantirà l’acquisto di 40mila biglietti e chiede identico sforzo alle imprese, che dovranno regalare biglietti ai propri dipendenti, se sono interessate ancora a partecipare agli appalti pubblici. All’Italia, è un Paese noto per il caso spinoso e irrisolto dell’imprenditore Roberto Berardi: un movimento ne denuncia il caso giudiziario e le disumane condizioni in cella, chiedendone la liberazione.
Il Marocco, sede originaria del trofeo, s’è tirato indietro, fra problemi di costi e paura di Ebola, ed è stato squalificato. Ma dei Paesi colpiti, solo la Repubblica di Guinea si è qualificata alla fase finale, non la Liberia, non la Sierra Leone. All’aeroporto di Malabo è già in vigore un protocollo sanitario rigido: test medici obbligatori per giocatori, dirigenti e tifosi. È come se l’Africa facesse un salto indietro anche sul piano tecnico, incapace di affrancarsi dal colonialismo degli allenatori. All’ultimo convegno Fifa sul razzismo a Roma, Clarence Seedorf lanciò un allarme: «È triste vedere pochi allenatori neri, per noi è più difficile». In questa edizione, ci sono 5 tecnici francesi, due belgi, due portoghesi, un tedesco, un polacco, l’israeliano Grant sulla panchina del Ghana e l’argentino Becker chiamato dai padroni di casa. Solo tre squadre hanno un allenatore autoctono: lo Zambia con Honour Janza, la Repubblica Democratica del Congo con Florent Ibenguè, il Sudafrica con Ephraim “Shakes” Mashaba, tutti ingaggiati un’estate fa solo con un obiettivo: dimostrare che l’Africa ha imparato a far gol da sola.