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 2015  gennaio 15 Giovedì calendario

I venticinque anni di American Psycho, l’ultimo grande classico americano. Quando uscì, il capolavoro di Bret Easton Ellis fu uno scandalo. Oggi appare il romanzo che ha saputo capire la contemporaneità più di altri

American Psycho è uno dei romanzi più importanti della nostra epoca. Da quando è stato pubblicato, la sua sfida stizzosa, implacabile e senza compromessi alla nostra società fa apparire opere letterarie più serie oscurate da un velo di sofisticatezza poco edificante. È una delle due opere di narrativa che hanno segnato lo spirito del tempo, che hanno definito l’America a cavallo dei due secoli. L’altra è Fight Club di Chuck Palahniuk, che guarda alla disaffezione dalla prospettiva di una nuova sottoclasse di giovani emarginata, oberata di debiti e priva di opportunità; American Psycho, invece, focalizza la sua attenzione sul tedio degli ultraprivilegiati in bancarotta morale. Entrambi i libri produssero un autentico effetto sismico, ma nel caso di American Psycho si scatenò anche uno sdegno che di autentico aveva ben poco.
Queste reazioni erano rivolte soprattutto verso la violenza estrema del libro, l’uso della pornografia e la presunta “manipolazione” del lettore. Ma spesso erano attacchi motivati da malafede e basati su tesi inconsistenti. American Psycho ci mette davanti uno specchio iperreale, satirico, e lo shock sgradevole che produce sta in quel riflesso distorto di noi stessi e del mondo in cui viviamo. Non è il romanzo «che esalta la vita», tanto amato dalla critica borghese. Non offre soluzioni facili per l’America dei sobborghi residenziali, non propina la confortante consapevolezza di un super qualcuno imperfetto ma sostanzialmente per bene, lì pronto per salvarli dai cattivi. In nessun punto si lascia intendere che l’amore o la fede possano offrire la salvezza. Tutto quello che resta è l’impressione che abbiamo creato un mondo sprovvisto di compassione ed empatia, un fertile terreno di coltura per mostri che prosperano nascosti alla vista. Ma anche se non offre nessun nascondiglio del genere, il romanzo di Easton Ellis fornisce al lettore il più impenetrabile degli scudi: l’humour nero e l’ironia. American Psycho è prima di tutto una commedia nera, una satira della nostra disarticolante cultura dell’eccesso.
L’autore dà il tono quando il protagonista, Patrick Bateman, e il suo collega Timothy Price prendono un taxi per andare a casa della fidanzata di Bateman. Price narcisisticamente si mette a concionare su quelli che considera i suoi pregi: «Sono intraprendente (…) sono creativo, so- no giovane, senza scrupoli, fortemente motivato, altamente qualificato. In sostanza sto dicendo che la società non può permettersi di perdermi. Sono un asset». Questa dichiarazione ridefinisce il sogno americano nell’ottica distorta del capitalismo consumistico individualista. Ma Price non sa che in macchina con lui c’è un mostro. L’ossessione ancora più forte di Bateman, la sua volontà spasmodica di vivere lo stesso sogno alimentano una rabbia paranoica, gelosa, incandescente, e un desiderio folle di potere e dominazione che lo spinge a stuprare, torturare e assassinare una moltitudine di vittime.
È quasi impossibile separare American Psycho dalle reazioni ad American Psycho, ed esaminare quelle obiezioni aiuta a discernere la natura sovversiva del romanzo. La manipolazione del lettore è uno degli aspetti più singolari del libro. Presentandoci un protagonista affascinante e omicida (ricco dalla nascita, scuole di élite, fisico scolpito, abiti costosi, dimestichezza con il mondo della finanza), Bret Easton Ellis rigetta la norma. È un profilo lontano anni luce dalla realtà consueta del serial killer ritratto come uno sfigato astioso e inadeguato. Bateman sarebbe probabilmente esibito come modello archetipico del successo americano, se non fosse anche un assassino psicopatico. Il libro paragona esplicitamente la brama di potere e la fame di denaro dell’élite waspeggiante alla disfunzione mentale.
Mischiando le prosaiche attività quotidiane di Bateman con i suoi brutali omicidi, American Psycho colma in modo inquietante il divario tra gli aspetti culturali psicotici degli Stati Uniti (l’ossessione per la ricchezza, la fissazione per le armi, il militarismo oltreconfine, il crescente feticismo militare in patria) e gli interessi morbosi e deprimenti del serial killer. La metafora corrente è una cultura soggiogata da un materialismo consumista che distrugge la società sradicando i suoi valori umani per rimpiazzarli con l’ossessione per l’immagine.
Il disagio intorno ad American Psycho nasce soprattutto dal fatto che, nonostante Bateman sia ritratto come un individuo superficiale, pomposo, bugiardo, misogino, razzista e narcisista, lo stile narrativo del romanzo costringe il lettore ad adottare il suo punto di vista. Come succede normalmente con la narrazione in prima persona e al tempo presente, il lettore fa proprie le preoccupazioni del protagonista: è la sindrome del «come sbarazzarsi del corpo». Ma questa partecipazione chiede anche al lettore, ed è un aspetto cruciale, di pronunciare una sorta di giudizio morale sulla natura di questi atti. Il giudizio in questione può collocarsi in uno spettro che va dal disgusto totale all’indifferenza distaccata, forse addirittura al fascino perverso. Il punto è che il lettore è costretto a confrontare le sue emozioni nel contesto dei valori di una società di cui tutti facciamo parte.
«Guadagnarsi da uccidere» a Wall Street potrebbe essere un’espressione innocua, ma lascia il segno solo a causa della cultura in cui avviene. Quando Bateman, a chi gli chiede che cosa fa di lavoro, risponde «omicidi ed esecuzioni», la sua risposta suona come «fusioni e acquisizioni». Riducendo le sue vittime a materia, Bateman è il serial killer della classe dirigente, alienato, di buone maniere e in completo elegante. Easton Ellis ha fatto bene a essere più esplicito che poteva nelle scene di smembramento: senza di esse, il romanzo sarebbe stato un compromesso e un fallimento.
Bateman, come Tyler Durden in Fight Club, ha preannunciato l’epoca dell’antieroe delle serie tivù americane. Eroi popolari imperfetti come Dexter, dove l’agente di distruzione psicopatico viene riformulato in modo cinico e reazionario (nelle vesti del buono che vuole servire e proteggere i bravi borghesi) non sarebbero venuti fuori senza Bateman. Bateman è la versione più pura dei Gordon Gekko, i lupi di Wall Street e la pletora di maschere da commedia dell’arte del cattivo capitalista d’assalto proposte da Hollywood.
Le recensioni negative ricevute dal romanzo oggi suonano un po’ come il fuggi fuggi di bambini spaventati. Il fatto che venissero da persone intelligenti che non riuscivano ad andare oltre il loro shock e disagio e rendersi conto della vera natura dell’opera è assolutamente delizioso. Questa clamorosa svista è una prova della forza del libro. Ma in un senso più profondo, il panico morale che accompagnò la sua pubblicazione rappresentava una cortina fumogena, sostanzialmente un rifiuto di misurarsi con il fatto che American Psycho, come Fight Club, è di fatto un’opera sul “declino dell’impero”.
L’America, con le sue tradizioni di libertà, in generale prova disagio, sia a destra che a sinistra, a vedersi come un impero. Esiste uno scollegamento enorme fra l’immagine che ha di sé la nazione e il modo in cui spesso viene percepita all’estero. Le contraddizioni violente della nostra epoca elitistica e postdemocratica sono state spostate in un “teatro di guerra” oltreconfine, ma associandole risolutamente al privilegio e al potere di Wall Street, il romanzo di Easton Ellis propone un editoriale sulla sgradevolezza del capitalismo moderno e il suo instancabile programma di consumo- fino-all’estinzione.
Se si considera che l’insipidezza del capitalismo moderno (raffigurata brillantemente in American Psycho ) implica una rappresentazione dell’arte sotto forma di intrattenimento di massa e grossolana evasione, con il romanzo ormai dominato da una stereotipata narrativa di genere che va a occupare gli spazi vuoti del marketing e spaccia in giro soluzioni facili, si può dire che Easton Ellis ha prodotto un’opera rivoluzionaria, con una rilevanza sempre maggiore per il mondo in cui viviamo. Ha costretto noi (e se stesso) ad affrontare una materia intollerabile, e la rabbia e la paura che ha generato erano motivate solo dall’impatto della terribile verità di tutto questo. A XXI secolo ormai inoltrato, American Psycho rimane l’esegesi letteraria più indispensabile e feroce della società che abbiamo creato.
(Traduzione di Fabio Galimberti)