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 2015  gennaio 15 Giovedì calendario

L’ultimo giorno di Napolitano al Colle: la lettera di Hollande, la firma delle dimissioni, il saluto uno a uno a tutti i suoi collaboratori. Infine, il ritorno a casa insieme a Clio

«Mio caro Giorgio amico della Francia, la Francia è orgogliosa di avere un amico come te...». La lettera arriva direttamente dall’Eliseo, François Hollande ha vergato la chiosa a mano, e Giorgio Napolitano la trova sulla scrivania ormai sgombra mentre alle 10 e 37 inizia a sbrigare l’ultima corrispondenza. C’è anche il messaggio di Papa Bergoglio. Scrive tranquillamente le risposte, la moglie Clio entra nello studio infreddolita, voleva aspettarlo giù ma fa un gran freddo... Sono passati due minuti esatti, da quando il Presidente dell’eccezionalità costituzionale non voluta, avendo dovuto affrontare quel non impossibile secondo mandato che i Padri Costituenti avevano saggiamente previsto «per i momenti di difficoltà», ha firmato un’altra lettera, di una riga appena. Quella delle proprie dimissioni.
Una breve chiacchierata di convenevoli sul divano con i suoi più stretti collaboratori e poi consegna le dimissioni al segretario generale Donato Marra, che s’infila il cappotto e va a consegnare le tre lettere. Una per Pietro Grasso, che nel momento stesso in cui la riceverà assumerà la reggenza, una per Laura Boldrini che ne darà comunicazione all’Aula di Montecitorio convocando i grandi elettori per il 29, e una per il premier Renzi.
Napolitano non lo sa, ma tutti i network televisivi stanno intanto impegnandosi in dirette che sembrano quelle di Capodanno, ecco si è dimesso, ecco la lettera è giunta alla Camera, ecco esce dal Quirinale, immagini in loop che copriranno a tappeto tutta la giornata. Lui, tornato dritto come un fusto nonostante l’artrosi che non è poca parte delle sue dimissioni, nell’abito blu con cravatta bordeaux che è la sua divisa ufficiale preferita, al braccio della moglie Clio scende nel cortile d’onore. «Onore al presidente Napolitano!», tuona un corazziere mentre parte l’Inno d’Italia. Napolitano stavolta non si commuove, è più presidente della Repubblica che mai nel momento dell’uscita dal ruolo. Impettito, accarezza lo stendardo presidenziale che gli viene donato proprio mentre dal Torrino quel vessillo viene ammainato. Insiste per stringere la mano al comandante che ha di fronte, e che sta invece sull’attenti. È il momento di salutare i collaboratori, baciati ed abbracciati uno ad uno, Carlo Guelfi, l’ambasciatore Zanardi Landi, il generale Mosca Moschini, Giulio Cazzella, Maurizio Caprara, Salvatore Sechi, fino agli uomini a lui più vicini da sempre e che lo seguiranno a Palazzo Giustiani come Giovanni Matteoli. Una piccola folla di italiani lo attende fuori, «è una giornata storica, abbiamo rinunciato ai biglietti per la Cappella Sistina per essere qui» dice una coppia di Rimini, e così lui passa dagli applausi sotto i Dioscuri a quelli sotto casa, al rione Monti. Poche ore prima, erano state portate le ultime cose, un paio di valigie e scatoloni. Un fattorino recapita un grande mazzo di rose bianche, senza biglietto d’accompagnamento. Saluta con la mano, e inforca subito il portoncino. Finalmente a casa, finalmente tornato a quello che desiderava tanto: i suoi libri, le sue abitudini, passeggiare un po’, poter andare al cinema. Nessuna vacanza è prevista, come era invece l’altra volta e si dovette disdire un’agognata trasferta nell’isola della giovinezza di Napolitano, Capri. Unico impegno del pomeriggio, una telefonata affettuosa al suo nuovo presidente: Pietro Grasso. Quando andrà a Palazzo Madama per la seconda volta da senatore a vita – un’eccezionalità anche questa – Napolitano tornerà ad essere un riferimento non più solo per l’Italia, ma per l’Europa e il mondo. Per questo ieri era doppiamente contento. Di essere tornato a una vita normale, e di quei messaggi ricevuti, al telefono con Obama il 5 gennaio, e ieri per lettera da Hollande.