Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  gennaio 15 Giovedì calendario

Ieri mattina, alle 10.35, Napolitano si è dimesso. Subito dopo ha firmato tre lettere, identiche nel contenuto, e le ha affidate al segretario generale, Donato Marra, il quale le ha portate al presidente del Senato, Pietro Grasso, al presidente della Camera, Laura Boldrini, e al presidente del Consiglio, Matteo Renzi

Ieri mattina, alle 10.35, Napolitano si è dimesso. Subito dopo ha firmato tre lettere, identiche nel contenuto, e le ha affidate al segretario generale, Donato Marra, il quale le ha portate al presidente del Senato, Pietro Grasso, al presidente della Camera, Laura Boldrini, e al presidente del Consiglio, Matteo Renzi.

Come sono scritti documenti di questo tipo?
In modo molto semplice. Il testo delle dimissioni: «In data odierna rassegno le dimissioni dalla carica di Presidente della Repubblica da me assunta il 22 aprile 2013. Dal palazzo del Quirinale, 14 gennaio 2015. Giorgio Napolitano». Il testo delle tre lettere: «Onorevole Presidente, Le comunico che in data odierna ho rassegnato le mie dimissioni dalla carica di Presidente della Repubblica da me assunta il 22 aprile 2013. Le trasmetto la copia dell’atto di dimissioni da me sottoscritto con i sensi della mia alta considerazione. Giorgio Napolitano». Ho avuto l’impressione che alla Boldrini, nel leggere i due testi, fosse lì lì per rompersi la voce. I deputati hanno applaudito per un paio di minuti. Telecamere, fotografi, giornalisti, curiosi intanto seguivano con una certa partecipazione la passeggiata dell’ex presidente dal Quirinale fino al vicolo dei Serpenti, dove abita (dietro alla Banca d’Italia). Nel quartiere gli stanno organizzando i festeggiamenti per il ritorno, sabato ci sarà un concerto di musica classica in cui si promette un’esecuzione speciale di “Fratelli d’Italia”.  

Che succede a questo punto?
Dal punto di vista istituzionale, le camere sono convocate dalla Boldrini per il 29 gennaio. Alle tre di quel pomeriggio (un giovedì) si riuniranno a Montecitorio tutti i deputati, tutti i senatori e i rapprentanti delle Regioni, tre per ogni Regione, a parte la Val d’Aosta che ha diritto a un solo nome. La faccenda è regolata dagli articoli 83 e 84 della Costituzione. L’articolo 84 precisa che il capo dello Stato deve avere almeno 50 anni e godere dei diritti politici. Nell’articolo 83 si specifica che i tre consiglieri regionali chiamati a far parte dell’assemblea dei grandi elettori devono essere rappresentativi anche della minoranza (quindi, due della maggioranza regionale e uno della minoranza: il Pd ha qui una supremazia schiacciante) e si stabilisce anche che l’elezione «ha luogo per scrutinio segreto a maggioranza di due terzi dell’assemblea. Dopo il terzo scrutinio è sufficiente la maggioranza assoluta». Chiariamo bene: maggioranza assoluta degli elettori, non dei votanti. Quindi 505 voti almeno (dal quarto scrutinio in poi). I grandi elettori sono 1008. Per raggiungere un consenso pari a due terzi di 1008 ci vogliono 672 voti (i primi tre scrutini). Per questo Renzi s’è impegnato a fare centro alla quarta o alla quinta votazione, parendogli le prime tre troppo difficili. Però ieri Bersani ha detto: se siamo tutti d’accordo, perché non fare centro al primo colpo? Potrebbe essere un segnale. Al primo colpo sono stati eletti finora solo Cossioga e Ciampi.  

Sono tutti d’accordo?
Il presidente può essere eletto in tre modi. Lo votano quelli del Pd più quelli di Scelta civica, quelli di Sel, i dissidenti Cinquestelle e qualche cane sciolto. Una scelta che segnerebbe la fine dell’intesa Renzi-Berlusconi, cioè la morte del Patto del Nazareno. Berlusconi farà di tutto perché non sia questa la maggioranza destinata ad esprimere il prossimo presidente. Berlusconi si spingerà al punto di votare anche un presidente a lui sgradito, pur di non farsi tagliar fuori. Seconda strada: Renzi e Berlusconi votano insieme un candidato gradito a tutt’e due. La conseguenza di un percorso di questo tipo, destinato ad esaltare il patto del Nazareno e a restituire smalto all’ex Cav, potrebbe provocare una spaccatura nel Partito democratico e vari altri sconquassi collaterali. Terza strada: si trova un nome davvero condiviso da tutti. Magari un democratico che non sia stato in passato troppo antiberlusconiano. Tutta questa minestra va condita con la ferma volontà della sinistra Pd e di Sel di far pagare a Renzi un prezzo il più possibile alto per incassare i suoi voti. Concessioni sul Jobs Act, sulla legge elettorale, eccetera.  

Quali nomi corrispondono a ciascun profilo?
Il candidato ideale del primo profilo è Prodi. Berlusconi potrebbe rassegnarsi a promuovere il nemico di sempre (e l’unico che alle elezioni lo ha battuto) in cambio di qualche favore grosso, tipo il famigerato articolo 19bis che ha agitato i sonni della politica subito dopo Natale. Il candidato del secondo tipo potrebbe essere Giuliano Amato, ammesso che Berlusconi lo voglia davvero (molti sostengono che Berlusconi abbia pronunciato il suo nome per eliminarlo dalla partita). Il candidato del terzo tipo è evidentemente Veltroni, con cui Berlusconi ha avuto qualche feeling all’epoca delle elezioni 2008. Ieri Veltroni campeggiava al primo posto su tutti i giornali. Si deve ricordare che in passato, quasi sempre, chi è entrato papa in conclave ne è uscito cardinale.  

Che succede se non arrivano al dunque in cinque-sei sedute?
Ieri ha detto che lui fa un altro mestiere, ma è opinione generale che se la faccenda va troppo per le lunghe l’uomo del Quirinale sarà Mario Draghi. Per Renzi un incubo, dato che Draghi non si limiterebbe di sicuro a fare la bella statuina.