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 2015  gennaio 08 Giovedì calendario

La strage islamista a Parigi nella redazione di Charlie Hebdo: al grido di «Allah è grande» due uomini incappucciati e armati di Kalashnikov hanno massacrato 12 persone. Uccisi il direttore e i vignettisti della rivista satirica, freddati anche due agenti. Nella notte il blitz a Reims per catturare i terroristi, sarebbero franco-algerini reduci dalla Siria. Francia sotto choc, Hollande rende onore agli «eroi caduti per la nostra libertà»

Il meglio dai giornali di oggi sulla strage al giornale satirico Charlie Hebdo a Parigi, dove hanno perso la vita 12 persone per mano di un commando di islamisti.

La più spaventosa ed efficace azione terroristica che la Francia abbia conosciuto è cominciata con un errore. Il commando è formato dai fratelli Said e Chèrif Kouachi, e Ahmid Mourad. Uno resta nella Citroën C3 nera, gli altri due escono dall’auto per andare a compiere la strage ma sbagliano numero civico, vanno al 6 di rue Nicolas-Appert, nel quartiere della Bastiglia a Parigi. «È qui Charlie Hebdo?», gridano. No, non è lì. Gli assassini non si perdono d’animo, si spostano di pochi metri al numero 10, quello giusto. Dopo il passo falso iniziale l’operazione ricomincia. Senza esitazioni. In pochi minuti 12 persone verranno uccise: 8 giornalisti, un inserviente, un economista ospite della redazione, due poliziotti. Undici i feriti, quattro gravi [Stefano Montefiori, Cds].

La cronaca del massacro. Sono all’incirca le 11 e 30 del mattino. I due terroristi con il volto coperto, armati di un kalashnikov e un fucile a pompa, forse con i giubbotti anti-proiettile, entrano nei locali del settimanale satirico e si imbattono in una postina. «Ero nel palazzo, in fondo al corridoio – racconta –. Ho visto due uomini mascherati e armati che cercavano la redazione di Charlie Hebdo, a un certo punto si sono messi a sparare in aria per spaventarci. Volevano sapere dove fosse l’ingresso. Sono riuscita a scappare». Nel palazzo ci sono tre piani e molti uffici, i due uomini vogliono arrivare immediatamente al loro obiettivo. François Molins, il procuratore di Parigi, dice che a questo punto i terroristi prendono di mira uno dei due inservienti all’ingresso, lo costringono a dire loro dove si trova la redazione, a quel punto sanno che Charlie Hebdo è al secondo piano e lui non serve più. Lo uccidono. Si chiama Fredéric Boisseau, ha 42 anni. È la prima vittima [tutti i giornali].

I terroristi salgono al secondo piano, incrociano la disegnatrice Corinne Rey, la firma «Coco» del giornale, che era andata a prendere la figlia all’asilo. Con le armi puntate addosso, Coco avrebbe digitato il codice di accesso per aprire la porta del giornale. «Hanno sparato su Wolinski. Cabu… – ha raccontato poi –. Io mi sono rifugiata sotto una scrivania. Sarà durato tutto cinque minuti. Parlavano un francese perfetto, dicevano di essere di al Qaeda» [tutti i giornali].

Il mercoledì, a quell’ora, si tiene la riunione di redazione del settimanale, quella che serve per impostare il numero successivo. Intorno al grande tavolo del giornale ci sono quasi tutti: il direttore Stéphane Charbonnier detto Charb, la guardia del corpo che a turno con altri lo protegge dal 2006, e le altre firme: Wolinski, Cabu, Tignous, Philippe Honoré, l’economista Bernard Maris, la psicologa Elsa Cayat, il correttore Moustapha Ourad, che aveva appena ottenuto la nazionalità francese [Anais Ginori, Rep].

All’interno della redazione, il primo a morire è l’agente di scorta del direttore Charb. Viene ucciso con più colpi, immediatamente, non ha il tempo di reagire. Poi tocca allo stesso Charb, l’obiettivo principale, da anni nella lista dei bersagli di al Qaeda. Stando ad alcune testimonianze, i terroristi chiedono ai giornalisti di dire il loro nome, poi sparano a colpo sicuro [Stefano Montefiori, Cds].

La guardia del corpo di Charb si chiamava Franck Brinsolaro, aveva 49 anni. Abitava fuori Parigi, a Bernay, si era da poco sposato con una giornalista, e la coppia aveva una bambina di un anno [Stefano Montefiori, Cds].

Dieci minuti, questa sarebbe stata la durata totale dell’operazione all’interno della redazione [Stefano Montefiori, Cds].

Nel frattempo, i dipendenti degli uffici vicini hanno trovato rifugio sul tetto, uno di loro, Martin Boudot, twitta sull’assalto in corso [tutti i giornali].

Nella redazione muore anche una persona che si trova lì per caso, Michel Renaud, ex direttore di gabinetto del sindaco di Clermont-Ferrand e fondatore del festival “Rendez-vous du carnet de voyage”. Secondo il quotidiano locale La Montagne, Renaud era andato in visita a Charlie Hebdo per incontrare Cabu e restituirgli dei disegni che questi gli aveva prestato per l’ultima edizione del festival, nel novembre scorso. Cabu lo aveva invitato ad assistere alla riunione di redazione. Con Renaud c’era l’amico Gérard Gaillard, che è riuscito a salvarsi [Paolo Levi, Sta].

Gli attentatori scendono in strada, dove comincia una sparatoria con la polizia, ripresa in un video di giornalisti di Première Ligne rifugiati sul tetto. La Citroën nera avanza fino a boulevard Richard-Lenoir. Nei video li si sente gridare «Allah Akbar!», «Allah è il più grande», e «Abbiamo ucciso Charlie Hebdo!», «Abbiamo vendicato il profeta Maometto!». Sembrano sul punto di rientrare in auto quando vedono avvicinarsi un agente di polizia in bicicletta, lungo il boulevard Richard Lenoir. Con movimenti che lasciano suggerire un addestramento militare, e una freddezza che lascia sgomenti, i terroristi si allontanano dall’auto e decidono che il lavoro non è ancora finito. Sparano raffiche contro il poliziotto, che cade a terra. Corrono senza agitarsi verso di lui. Il ferito sembra immobile, poi si volta leggermente e alza un braccio, un gesto che sembra un’implorazione. In quel momento, viene finito con un colpo alla testa [Anais Ginori, Rep].

Il poliziotto freddato a terra si chiamava Ahmed Merabe, aveva 42 anni. Lavorava al commissariato centrale dell’XI arrondissement. Ahmed è un nome musulmano che significa «il più degno di lodi». Non era quindi un «francese autoctono», secondo la terminologia in uso nelle polemiche di queste settimane in Francia su Islam e integrazione [Stefano Montefiori, Cds].

Un elemento che non combacia emergerebbe da uno dei video. Un attentatore avverte l’altro: «Allontanati, è finito» (si riferisce al poliziotto) e l’ordine sarebbe scandito con un’intonazione strana. Sul loro accento francese non c’è concordanza: alcuni testimoni dicono di non aver sentito inflessioni, altri sostengono che non parlassero bene la lingua [Davide Frattini, Cds].

Nervi solidi e attenzione ai dettagli: uno degli attentatori corre per recuperare una scarpa da tennis caduta dall’auto usata nell’operazione, non vuole lasciare tracce. Ma non si accorge di dimenticare una carta d’identità nella macchina poi abbandonata [Davide Frattini, Cds].

Lo stile terrorista, nonostante il richiamo ad al Qaeda, è più simile a quello di Daesh, il califfato. C’è la sinistra teatralità che vuole ferire i sentimenti occidentali, impaurire la società e suscitare l’adesione dei virtuali jihadisti [Bernardo Valli, Rep].

Entrando a tutta velocità in Place Colonel Fabien gli attentatori sbattono contro una Volkswagen rossa guidata da una donna. Provano a proseguire comunque in direzione della porte de Pantin prima di arrendersi al fumo che esce dal cofano. In rue de Meaux, una strada dove molti negozi hanno insegne con scritte in francese e in arabo che scorre lungo il parco de Buttes Chaumont abbandonano la Citroen. A fucili spianati fanno scendere il conducente di una Clio che arriva dall’altra parte della carreggiata, ed entrano a Pantin [Paolo Levi, Sta].

I fratelli Said e Chérif Kouachi, di 34 e 32 anni, e il loro presunto complice Hamid Mourad, classe 1996, nel corso della notte diventano i principali sospettati della strage al Charlie Hebdo. Vengono dalla banlieue di Gennevilliers, avamposto della sterminata periferia che si estende a nord di Parigi, con tanto di fermata del metrò ma in realtà lontana quasi fosse un altro mondo.

I fratelli Kouachi hanno tutto per incarnare lo spettro tanto temuto del terrorismo domestico. Sono nati entrambi nel X arrondissement, che nella parte più vicina al centro della città contiene la passeggiata romantica sul canal Saint Martin ma subito dopo diventa il quartiere cuscinetto tra XVIII e XIX, banlieue domestica, porta d’ingresso della grande periferia nord. «Piccoli delinquenti che si sono radicalizzati» dice una fonte di Polizia [Marco Imarisio, Cds].

Chérif, il più piccolo, aveva da poco finito di scontare tre anni di carcere con la condizionale. Apparteneva alla cosiddetta filiera del parco de Buttes Chaumont, dove ieri è stata ritrovata la Citroen nera usata per la fuga dopo la strage. Preparavano le giovani reclute francesi al combattimento in Iraq. All’epoca Chérif consegnava pizze a domicilio. Lo avevano arrestato poco prima della partenza. Ma non si era perso d’animo. Appena tornato in libertà avrebbe tentato di partire per la Siria, questa volta accompagnato dal fratello Said, anche se non ci sono ancora certezze su quest’ultimo viaggio [Marco Imarisio, Cds].

I musulmani in Francia sono 6 milioni. La cifra non è ufficiale perché non ci sono censimenti sull’ appartenenza religiosa dei cittadini. Sono proibiti. L’islamofobia cresce tuttavia e si traduce spesso in successi elettorali per l’estrema destra [Bernardo Valli, Rep].

La prima perquisizione viene fatta in un appartamento di Pantin, e qualcosa cambia. All’improvviso si chiude il rubinetto delle indiscrezioni. La banlieue diventa la tappa di partenza di una caccia all’uomo senza precedenti. Il «93» è stato solo una sosta, forse un ritorno alla base per poi tentare la fuga definitiva. Ancora oscuro il legame con Reims, la tranquilla città dominata dalla celebre cattedrale, provincia profonda che diventa scenario di una incursione delle teste di cuoio, i corpi scelti dell’esercito. La traccia che avrebbe fatto risalire all’identità del commando è la carta d’identità dei maggiore dei frattelli Kouachi ritrovata nella Citroen abbandonata [Marco Imarisio, Cds].

Gli agenti li trovano nel quartiere della Croce rossa di Reims, a 150 chilometri dalla redazione di Charlie Hebdo. E le immagini che arrivano dall’operazione in corso tutta la notte mostrano i tiratori scelti a presidiare ogni incrocio e le teste di cuoio che si muovono a gruppi e a scatti mentre accerchiano un edificio in quella che viene definita come la zona araba del capoluogo dello Champagne [Marco Imarisio, Cds].

«Oggi loro sono i nostri eroi. Questi uomini, questa donna, sono morti per l’idea che avevano della Francia, e cioè per la libertà». Così all’ora di cena, dagli schermi della televisione di Stato, Francois Hollande, ha ricordato i 12 caduti. I negozi nel centro di Parigi hanno chiuso dal mattino le saracinesche, decine di migliaia di persone si sono riunite in protesta o in preghiera a Grenoble, a Nantes, a Bruxelles, a Berlino, in mezza Europa [tutti i giornali].

In piazza molti hanno cartelli con la scritta «Je suis Charlie», o messaggi di sostegno ai giornalisti e alla libertà di espressione. Qualcuno porta dei fiori, soprattutto rose bianche, deposti ai piedi della statua che raffigura la République. Tantissimi brandiscono penne e matite, «le nostre armi di oggi»: la stessa impugnata dai vignettisti e dai giornalisti caduti sotto i colpi di kalashnikov degli attentatori. «Preferisco morire in piedi che vivere in ginocchio», disse una volta Charb [Paolo Levi, Sta].

Giovedì in Francia è lutto nazionale, poi tre giorni di bandiere a mezz’asta. Sabato, a Parigi, «marcia repubblicana» convocata dal centrosinistra socialista insieme con il centrodestra di Nicolas Sarkozy, che pure ha avuto parole di dolore e rabbia dalla Tv: «È stato un attacco diretto e selvaggio ad uno dei principi della Repubblica francese che ci sono più cari: la libertà di espressione.E’ stata attaccata la nostra democrazia, dobbiamo difenderla senza debolezze. L’unica risposta è l’assoluta fermezza» [Luigi Offeddu, Cds].

Charlie Hebdo è un settimanale di satira a fumetti, un po’ Linus e un po’ Cuore, con qualche scivolata sul Vernacoliere [Alberto Mattioli, Sta].

Vende soltanto 30mila copie ed è in perenne crisi finanziaria, ma in Francia è da oltre quarant’anni il simbolo – ancor più del ricco colosso Canard Enchainé – di un giornalismo totalmente irriverente e provocatorio, di una satira feroce che non risparmia nulla e nessuno. È nato nel 1970, con una testata che richiama il Charlie Brown di Schultz, dalle ceneri di Hara Kiri, costretto alla chiusura dopo una famosa copertina che ironizzava pesantemente sul balletto di politici al funerale del generale Charles de Gaulle [Marco Moussanet, S24].

Castiga i costumi, ma ridendo. E infatti le sue firme non avevano nome, a parte quello d’arte che si erano scelte: i morti ammazzati al grido di «Allah è grande» sono i disegnatori Charb, Cabu, Wolinski, Tignous, più l’economista e azionista Bernard Maris, che per i lettori era «l’oncle Bernard», lo zio Bernardo [Alberto Mattioli, Sta].

«Figlio del Sessantotto e dell’irriverenza», il giornale sparava su tutti i poteri, purché fossero costituiti: la politica (più a destra che a sinistra), l’Armée, la Chiesa. E ultimamente l’Islam. E qui sono cominciati i guai. Perché nel 2006 Charlie Hebdo aveva ripubblicato le vignette su Maometto che erano uscite sul giornale danese «Jyllands-Posten» e avevano suscitato l’ira globale del mondo islamico. Il numero vendette 400 mila copie, il quadruplo del consueto, ma non tutti gradirono. L’allora presidente Jacques Chirac parlò di «manifesta provocazione», le organizzazioni dei musulmani francesi fecero causa (e la persero). Allora a firmare la querela fu Mohammed Moussaoui, che ieri era dal Papa e che ha condannato inorridito la strage [Alberto Mattioli, Sta].

Ma la situazione si è fatta ancora più tesa da quando, nel 2011, uscì con la testata modificata in Charia Hebdo. Lo stesso giorno un incendio doloso distrusse la sede, costringendo il settimanale a traslocare. Nonostante questo, le minacce (anche personali) e le incursioni informatiche, il giornale ha continuato ad andare dritto per la sua strada. L’edizione di ieri aveva in prima una vignetta sullo scrittore Michel Houellebecq e sul suo libro che immagina la sottomissione (questo è peraltro il titolo) della Francia all’Islam e la vittoria alle presidenziali del 2022 del leader del partito della Fratellanza musulmana [Marco Moussanet, S24].

Charb, poco mediatico, quasi timido con la parola, doveva sempre spiegare che «no, non siamo andati troppo oltre: siamo un giornale satirico di attualità, il nostro mestiere è parlare dell’attualità. E il nostro modo di parlarne, è la caricatura». E a chi li accusava, magari indirettamente, magari con fastidio, di andarsela a cercare, rispondeva che le loro armi erano la penna e il pennarello [Francesca Pirantozzi, Mes].

Sull’ultimo numero del settimanale c’è una sua vignetta che sembra quasi un segno premonitore: il titolo è «ancora nessun attentato in Francia», e vi si vede un jihadista che dice «pazienza, abbiamo tempo fino alla fine di gennaio per fare i nostri auguri» [Marco Moussanet, S24].