Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  dicembre 24 Mercoledì calendario

L’Isis e l’incubo di un genocidio. «I combattenti del Califfato sono molto più scaltri e più pericolosi di quello che i nostri leader credono. Nello Stato islamico c’è un entusiasmo palpabile, una fede nella vittoria che non ho mai visto in nessuna zona di guerra». Parla Todenhöfer, il primo giornalista occidentale ad essere accolto dai tagliagole dell’Isis nella loro tana

La parola brutale, impronunciabile. Finora al massimo l’abbiamo sussurrata, temendo di scatenare l’eco di ricordi mostruosi: terre macchiate di sangue, colpi alla nuca, esecuzioni sommarie. Un eco che rimbalza nelle valli della memoria e provoca valanghe di disgusto, brividi di terrore. Però adesso bisogna dire l’indicibile e chiarire una volta per tutte: genocidio. Il massacro sistematico e pianificato con scientifica, geometrica precisione, di intere popolazioni e fedi. Questo farebbe lo Stato islamico, se potesse. Questo è ciò che farà il giorno in cui avrà i mezzi necessari. Nel frattempo, fa le prove sul proprio territorio, si addestra all’olocausto come un pilota da caccia su un simulatore di volo. Lo apprendiamo dalla bocca di Jürgen Todenhöfer, «presumibilmente» il primo giornalista occidentale ad essere accolto dai tagliagole dell’Is nella loro tana. «Presumibilmente» perché se qualcun altro è stato così tanto a lungo a Mosul, Raqqa e dintorni, non è tornato indietro per raccontarlo. Todenhöfer è tedesco e ha 74 anni. Per mesi ha chattato su Facebook e sui social network con almeno ottanta combattenti del Califfato. Ore e ore di trattative per convincere gli uomini in nero guidati da Abu Bakr al-Baghdadi ad accoglierlo senza renderlo alla sua famiglia con il corpo in una valigia e la testa in un’altra. O senza prenderlo in ostaggio e costringerlo a leggere comunicati propagandistici, come è accaduto all’inglese John Cantlie. Jürgen è riuscito a stringere un rapporto vagamente simile alla fiducia con due miliziani. E ha deciso di partire. Ovviamente nessuno gli assicurava di aver salva la vita. Nemmeno la sua carriera di opinionista decisamente contrario agli interventi armati occidentali in Medio Oriente. I carnefici del Califfato non hanno risparmiato cronisti né operatori umanitari. Non c’è stata buona azione commessa verso gli abitanti di Siria e Iraq che abbia messo al riparo gli uomini bianchi dal coltello dei boia. Todenhöfer ha scommesso, è stato dieci giorni nel covo della Bestia, ed è tornato intero il 16 dicembre, dal confine turco. Quando lo ha passato, ha raccontato, si è sentito come se gli levassero un peso da mille tonnellate dalla schiena. Qualche giorno dopo aver riabbracciato la sua famiglia ha deciso di raccontare quel che ha visto. Ha sconcertanti notizie da riferire. In realtà, sulla carta, non c’è nulla di nuovo. Ma Jürgen ha toccato con mano. La voce degli islamisti gli è risuonata nelle orecchie da vicino. Ne ha sentito l’alito ubriaco di fanatismo. «L’Occidente sta sottovalutando drammaticamente il pericolo rappresentato dall’Is», ha detto. «I combattenti del Califfato sono molto più scaltri e più pericolosi di quello che i nostri leader credono. Nello Stato islamico c’è un entusiasmo palpabile, una fede nella vittoria che non ho mai visto in nessuna zona di guerra». Il Califfato ha una dimensione «superiore a quella del Regno Unito. Ogni giorno centinaia di aspiranti combattenti arrivano da tutto il mondo. Per me è una cosa incomprensibile». Certo, nelle parole del cronista tedesco possiamo sentire il puzzo della propaganda jihadista. Da sempre gli uomini in nero hanno interesse a presentarsi all’Occidente come belve assetate di sangue, intenzionate a non fermarsi davanti a nulla. E di certo la testimonianza di Jürgen pompa altra potenza nella loro grancassa. Dunque non dobbiamo commettere l’errore di pensare che gli islamisti siano in procinto di conquistare Roma, come più volte promesso. Però dobbiamo prendere atto delle loro intenzioni, che sono chiarissime. In fondo, i diretti interessati non ne hanno mai fatto mistero. «Tutte le religioni che sono in accordo con la democrazia devono morire», ha raccontato Todenhöfer, riferendo quanto raccolto tra i miliziani. «L’Is vuole conquistare il mondo. Vuole uccidere tutti i non credenti e gli apostati e ridurre in schiavitù le loro donne e i loro bambini. Tutti gli sciiti, gli yazidi, gli indù, gli atei e i politeisti devono essere uccisi. Centinaia di milioni di persone dovrebbero essere eliminate nel corso di questa pulizia religiosa. Tutti gli islamici moderati che promuovono la democrazia devono essere uccisi. Perché, nella prospettiva dello Stato islamico, promuovono le leggi dell’uomo e non quelle di Dio. Questa regola va applicata anche ai musulmani democratici nel mondo occidentale. L’unica chance per gli infedeli di sfuggire alla morte è il pentimento volontario e la conversione all’islam. Gli ebrei e i cristiani, in quanto “gente del libro”, sono tollerati, ma devono pagare una tassa di varie centinaia di dollari ogni anno». Queste parole sembrano un comunicato stampa del Califfato: sono ripetute allo stesso modo nei video, nelle riviste. Quel che Todenhöfer non ha detto – forse perché ancora non ne ha avuto il tempo o perché non gli hanno mostrato tutto – riguarda il genocidio che è già in corso. Le fosse comuni con i cadaveri di donne che si rifiutavano di sposare i jihadisti. Le uccisioni di bambini. La schiavitù. I rapimenti. Di nuovo, i bambini costretti ad addestrarsi in appositi campi per imparare la jihad. Todenhöfer ha visto uno Stato con un suo «sistema di welfare». Una struttura che costruisce scuole, che fornisce servizi. Però dobbiamo sapere qual è il prezzo per quei servizi: il sangue. La violenza. La discriminazione feroce delle donne. La carneficina. Il giornalista tedesco incolpa le bombe occidentali: «Ogni volta che colpiscono un civile, producono nuovi terroristi». L’intervento americano da molti punti di vista ha aiutato i jihadisti, li ha fatti compattare. Ma non basta, non serve dare la colpa alle bombe. Bisogna svelare il sistema di pensiero che c’è dietro le minacce dello Stato islamico. Bisogna sapere che non possono ancora farlo in grande, a livello mondiale. Ma che nel frattempo macelleranno il macellabile. Bisogna ripetere l’indicibile: genocidio. Che sia pure a colpi di coltello, un morto dopo l’altro. Gli uomini neri non hanno problemi di tempo: hanno tutta la morte davanti a sé.