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 2014  dicembre 24 Mercoledì calendario

«Un’energia per impastare quell’ambigua argilla di cui è fatta la storia umana, per poi da lì plasmare un mondo più degno per i figli e le figlie di Dio. Non il cielo in terra: soltanto un mondo più umano, in attesa dell’azione escatologica di Dio». Con la speranza, i sermoni di Bergoglio surclassano il clero

Una delle grandi criticità della chiesa che il papato di Francesco non risolve, ma se mai acuisce proprio con la sua testimonianza, è quella della predicazione. Punto discriminante durante il Cinquecento fra chi aderisce alla riforma e chi aderisce al rinnovamento tridentino della chiesa cattolica, la predicazione s’è spesso consumata di qua e di là del confine della divisione confessionale. Oggi, a differenza di cinque secoli fa, non è così automatico riconoscere una predica protestante da una cattolica, se non forse per quel riferimento mariano che marca il discorso della chiesa di Roma. Ma in entrambi i casi si vedrà una predominanza di tematiche morali, quando non del moralismo sudaticcio che proprio con la sua enfasi rigorista denuncia le dissipazioni di chi vi ricorre con inutile zelo. 
Francesco, dicevo, con la sua predicazione mostra l’insufficienza di quella che c’è: la surclassa, per tanti ne rappresenta un pericoloso sostituto. Ma non per molti è facile riconoscerne le radici e la costruzione. Francesco ha sempre predicato così: con un’immediatezza che sa diventare frustata (da questa settimana lo sa anche l’intera curia romana, sferzata da quello che doveva essere un discorso di auguri ed è diventato un sermone de emendanda ecclesia che intrecciava con martellante potenza Rosmini, Pier Damiani, Grossatesta, Gregorio Magno e il dossier dei tre cardinali emeriti sui mali di Roma); e con una dolcezza che commuove chi al posto della chiesa madre s’è trovato talora innanzi una matrigna distratta dall’autocontemplazione. 
«L’uomo è così», disse di Francesco il cardinal Bertello la mattina dopo l’elezione, facendogli il complimento più vero e radicale: e chi oggi legga le sue parole sulla Speranza lo ritroverà predicare in tempi non sospetti e a ridosso di circostanze tragiche (una sparatoria in una scuola, un incendio in una discoteca) la sostanza della speranza cristiana. Tema chiave del Natale che è racconto di redenzione compiuta nella incarnazione del Verbo e annuncio di un ritardo: creazione nuova di un infratempo della speranza, che sa che solo ciò che tarda avverrà. 
Prediche e discorsi di un vescovo che parla al suo popolo: alla sua ambizione di essere educatore educato, e non semplicemente stridula enunciazione di un’«emergenza educativa» che scivola spesso nella monetizzazione. E qui viene fuori la forza del Bergoglio predicatore che sa entrare con naturalezza nei grandi nodi teologici. Il Bergoglio vescovo enuncia la forza della speranza rifacendosi alla polemica anti-donatista: una querelle del IV-V secolo che vede la grande chiesa opporsi al rigorismo di Donato, che cerca una purezza ecclesiastica che è guardata con sospetto non per le esigenze che pone, ma per l’immagine di chiesa – una chiesa pura per i puri – che sorregge. Antidonatismo in Argentina? Bergoglio lo fa: e presenta l’attesa cristiana come «un’energia per impastare quell’ambigua argilla di cui è fatta la storia umana, per poi da lì plasmare un mondo più degno per i figli e le figlie di Dio. Non il cielo in terra: soltanto un mondo più umano, in attesa dell’azione escatologica di Dio». 
Bergoglio non indica mai – mai, né da vescovo né da Papa – i confini intellettuali del suo discorso: e quel Principio speranza che Ernst Bloch aveva iniziato nel 1938 e stampato nel 1959 corre sotto molte delle sue parole. Bergoglio forse non è teologo (nel senso moderno del termine): di certo non è professore pignolo e nemmeno un pavone che si pavoneggia delle sue letture. Ma col principio piacere e col principio di realtà si misura fino a quel principio – «il principio di un altro Amore» – che apre a una vita diversa e possibile. 
Davanti al rischio di un’educazione all’eccellenza classista e discriminante, indica una «nuova umanità» come orizzonte della formazione che supera le antinomie fra rigore e solidarietà, fra novità e continuità, fra identità e maturazione. Per Bergoglio, infatti, la «maturità presuppone una capacità di vivere il tempo come memoria, come visione e come attesa, andando oltre l’immediatismo per essere in grado di strutturare la parte migliore della nostra memoria e dei nostri desideri in un’azione meditata ed efficace». 
È in questa visione lucida del dinamismo delle persone e delle istituzioni che Bergoglio posa la sua visione cristiana della speranza: quanto mai utile in questo tempo natalizio che per noi, oggi, si consuma all’ombra di guerre implacabili e di istinti assassini che non esitano a sbranare bambini inermi, forse per vendicare il dolore di altri bambini uccisi, ma certo alimentando la spirale del sangue di cui si nutre la Bestia. Per chi viva questo tempo per ciò che è la questione rimane quella: una redenzione che annuncia la croce e una croce che annuncia una redenzione collocata dentro la «storia umana come a un luogo di discernimento tra le offerte della grazia, orientate verso la piena realizzazione dell’uomo, della società e della storia nella redenzione escatologica».