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 2014  dicembre 24 Mercoledì calendario

Le ultime direttive di Papa Francesco ai sacerdoti: mai più omelie noiose. E perché questo accada la regola d’oro è lasciarsi commuovere dalla Parola di Dio per farla diventare carne della propria carne. È, in sostanza, il contenuto del nuovo «direttorio omiletico» redatto con il placet di Bergoglio dalla Congregazione per il Culto Divino

Mai più omelie noiose. E perché questo accada la regola d’oro è una: lasciarsi commuovere dalla Parola per farla diventare carne della propria carne. Se così non accade, al popolo, il cui fiuto è spietato, non arriverà nulla. È, in sostanza, il contenuto del nuovo «direttorio omiletico» (in uscita) redatto con il placet di Francesco dalla Congregazione per il Culto Divino. Un testo che non a caso esce con un Papa che alle omelie ha dedicato 18 pagine della sua Evangelii Gaudium : «Sono molti i reclami in relazione a questo importante ministero e non possiamo chiudere le orecchie», scrive il Papa. L’omelia, infatti, «è la pietra di paragone per valutare la vicinanza di un pastore con il suo popolo».
Spesso oggi i sacerdoti non curano le omelie. Le conseguenze, fra le tante, sono molte chiese vuote. Eppure, fin dai primordi, non fu così. I grandi profeti ebraici come Mosè, Giosuè ed Elia dedicavano tempo alla predicazione, consapevoli che ne andava della corretta diffusione del verbo divino. Il Nuovo Testamento, poi, si apre con la predicazione di Giovanni Battista: le sue parole erano come fuoco, la presa sugli uditori garantita. Così Gesù, che predicava usando immagini e metafore che scalfivano l’indifferenza dei più. Vennero poi i grandi oratori: Ambrogio, Domenico, Bernardino da Siena. Sapevano volare alto, consapevoli che quanto sosteneva Agostino non andava disatteso: l’omelia deve «istruire, piacere, persuadere».
Poi qualcosa si è rotto. Con l’avvento della manualistica, la teologia si relega più sulla difensiva, gli oratori sono ripetitori del magistero, capaci soltanto di eseguire ramanzine che lasciano attoniti e senza fiato. Ma, come scrive sul Sir Bruno Cescon, «l’omelia non può restare un blà blà! di chiacchiere inutili. È imparare per vivere».
Su L’Osservatore Romano è stato monsignor Arthur Roche, segretario del Culto divino, a ricordare che il nuovo direttorio nasce in seguito ad Evangelii Gaudium e anche a Verbum Domini di Benedetto XVI per il quale «predicare in modo adeguato è un’arte che deve essere coltivata». Così anche per Francesco il quale, fra l’altro, tutte le mattine a Santa Marta dà l’esempio. Le sue omelie sono brevi, efficaci, semplici, immaginifiche, parole che anche la gente più semplice comprende, frutto di una lunga meditazione mattutina sulle Letture che egli compie svegliandosi prima dell’alba.
Già, perché molto, dice il direttorio, dipende dalla preparazione. Da quanto chi predica è disposto a immergersi nella Parola facendo anche un passo indietro rispetto al proprio ego: «L’omelia – dice Francesco – non può essere uno spettacolo di intrattenimento, non risponde alla logica delle risorse mediatiche» ma «deve essere breve ed evitare di sembrare una conferenza o una lezione». Il predicatore deve parlare «come una madre che parla a suo figlio», «mediante la vicinanza cordiale» di chi predica, «il calore del suo tono di voce, la mansuetudine dello stile delle sue frasi, la gioia dei suoi gesti». Mentre «la predicazione moralista o indottrinante, ed anche quella che si trasforma in una lezione di esegesi, riducono questa comunicazione tra i cuori».