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 2014  dicembre 24 Mercoledì calendario

I No Tav divisi tra attendisti e sabotatori, almeno finché qualcuno non si farà male per davvero

Succede anche nelle migliori famiglie. Anche nel giorno di festa sono volati schiaffi tra parenti che ormai tendono con una certa frequenza a essere serpenti. Lo scorso 17 dicembre, subito dopo l’assoluzione dall’accusa di terrorismo di quattro antagonisti rei confessi di un assalto al cantiere dell’Alta velocità di Chiomonte, alcuni gruppi di militanti No Tav giravano per le strade di Bussoleno guardandosi in cagnesco e senza sapere bene cosa fare. Il gruppo dei presunti anarchici che lamentava comunque la condanna degli imputati a tre anni e sei mesi aveva le consuete intenzioni bellicose, sfogate in brevi e intermittenti blocchi stradali e ferroviari. Gli altri, ovvero il grosso del movimento che si oppone alla nuova linea ferroviaria Torino-Lione, avevano invece scelto di seguire la linea attendista uscita dalle assemblee popolari che si tengono al centro polivalente della piccola capitale No Tav. Alla fine si è imposta la maggioranza, anche facendo ricorso alle maniere forti.
Ormai è un riflesso pavloviano, motivato anche dal passato recente. Quasi non importa che le scritte sul luogo dell’ultimo attentato fossero loghi lasciati dai writer di turno piuttosto che improbabili rivendicazioni scritte a vernice. Ogni gesto contro l’Alta velocità e le sue strutture viene ormai fatto risalire quasi di default al movimento No Tav. Nel suo calderone c’è di tutto, soprattutto negli ultimi anni, quando la sua popolarità, il fatto di essere l’unico fronte antagonista aperto in Italia, gli ha portato in casa novizi di ogni genere. Qualcosa si sta muovendo, in quel mondo, non necessariamente legato ai sabotaggi delle centraline ferroviarie ma indicativo di una pulsione radicale che non promette bene per il futuro.
Le assemblee popolari sono sempre celebrate dal movimento No Tav, che le considera un fiore all’occhiello della democrazia dal basso, ma quella dello scorso 20 ottobre è passata invece sotto silenzio, perché in netto contrasto con la narrazione del movimento plurale ma unito sotto la stessa bandiera. Per la prima volta è venuto allo scoperto un dissenso dichiarato in toni molto aggressivi, con i presunti anarchici, un gruppo che a grandi linee pesca tra Torino, Milano e Trento, in aperta contestazione dell’appiattimento di ogni attività che il resto del movimento si è imposto da ormai un anno. Da una parte un gruppo minoritario, irredentista e quasi nichilista che vorrebbe procedere fuori da ogni tatticismo, convinto della necessità di forzare la mano anche con sabotaggi e attentati notturni. Dall’altra una maggioranza ispirata dai centri sociali torinesi che per scelta o per convenienza, dopo anni di inchieste incombe il rischio di ulteriori condanne con tanto di cumulo delle pene per molti attivisti, ha deciso di tenere conto delle variabili politico-giudiziarie.
Non c’è stato bisogno di aspettare la fatidica sentenza sull’accusa di terrorismo per far finire una convivenza ormai forzata tra due anime troppo diverse. La notte prima del verdetto a Rivoli, imbocco della Val di Susa, sono state lanciate alcune molotov contro i camion di una ditta che lavora nel cantiere Tav, un’azione che nel movimento è stata letta quasi come un messaggio interno. Il fatto che la fazione più radicale abbia mollato gli ormeggi allontanandosi dal resto del movimento No Tav non implica certo una firma sicura sui recenti sabotaggi all’Alta velocità italiana, che per la loro semplicità potrebbero essere ascritti a incendiari del sabato sera, magari aderenti a una sorta di franchising nazionale generato dalla notorietà acquisita negli anni dalla lotta contro la Torino-Lione.
Ci sono luoghi anche di carta dove invece i piani si sovrappongono e il confine tra buone e cattive intenzioni risulta molto più incerto, come i libelli diffusi online del Tav watching, che nella sua prima versione spiegava «quali ditte lavorano nel cantiere di Chiomonte, cosa fanno, come funziona il meccanismo di sicurezza che lo protegge» che vede la partecipazione di attivisti e intellettuali in sicura buona fede ma che nei suoi vari aggiornamenti regionali è diventato anche una specie di indirizzario dei bersagli da colpire lungo la tratta dell’Alta velocità italiana. Ma la resipiscenza non abita più qui da lungo tempo. L’aspetto simbolico della sentenza sui quattro «terroristi» ha piuttosto radicalizzato le posizioni della discussione pubblica, divisa tra chi vede in ogni dove, anche nel tentativo di capire qualcosa di questi piccoli attentati, il complotto di procure e mass media, e tra chi invece considera quella decisione fonte di ogni male eversivo a venire. Clima da stadio, come sempre. Fino a quando qualcuno si farà male per davvero.