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 2014  dicembre 24 Mercoledì calendario

Per la Francia un Natale di terrore, con i soldati in strada. Dopo i tre attacchi cresce la paura per gli integralisti islamici. Morto uno dei feriti a Nantes. Militari nei centri commerciali. L’incubo ora è l’emulazione della jihad

«Paura sul Natale», titola in prima pagina il Parisien. Nessun attacco terroristico, ripete il premier Manuel Valls che però convoca una riunione di crisi del governo e annuncia rinforzi per garantire la sicurezza nel paese: fino a 300 militari inviati a pattugliare stazioni, aeroporti e centri commerciali durante le feste. La Francia oscilla tra panico e lucidità dopo tre attacchi in quattro giorni che hanno risvegliato l’incubo del nemico interno. Ieri la procura di Nantes ha smentito che Sebastien Sarron, 37 anni, abbia urlato “Allah Akbar”, Dio è grande, mentre si lanciava con il suo furgoncino bianco contro il mercatino di Natale di place Royale. L’uomo ha poi tentato di uccidersi con diverse coltellate ed è ancora ricoverato in gravi condizioni. «I servizi segreti vogliono uccidermi», aveva scritto su un quaderno trovato nell’abitacolo. Sasson viveva da solo in un paesino della Charentes e due anni fa aveva perso il lavoro in un vivaio. «Uno squilibrato», dicono gli investigatori anche se non aveva precedenti psichiatrici come invece l’attentatore di Digione, ricoverato ben 157 volte in ospedale. L’uomo che ha travolto tredici persone domenica sera nella capitale della Borgogna è stato interrogato. Ha spiegato alla polizia che ha usato il grido “Allah Akbar” per «darsi coraggio» mentre puntava verso i passanti. Lo stesso urlo usato dal ragazzo che venerdì ha aggredito alcuni agenti nel commissariato di Joué-lés-Tours, prima di essere ucciso. Nessuno degli attentatori era conosciuto dall’intelligence. Un dato che rende ancor più difficile l’opera di prevenzione e persino l’analisi di questi tre episodi. A parte Parisien e Figaro, i media francesi seguono la tesi del governo e di gran parte del mondo politico per cui non si può parlare di terrorismo islamico. L’unica eccezione è il Front National che denuncia uno scandaloso tentativo di «minimizzare» la minaccia. «Non cediamo al panico», ha ribadito Francois Hollande. «Negli ultimi tre giorni – ha continuato il presidente – ci sono stati tre episodi molto gravi, che non hanno relazione tra loro, ma c’è una concomitanza».
Gli investigatori parlano di un fenomeno di “emulazione”.
Non c’è stata nessuna rivendicazione da parte di organizzazioni terroristiche anche se gli attentatori di Digione e Nantes sembrano aver seguito le modalità citate in alcuni video dell’Is. Ieri sul web francese è comparso un nuovo magazine, “Dar-al-Islam”, che fa l’apologia dello Stato islamico, simile a quello che già esiste in lingua inglese.
Nantes è ancora sotto choc. Il sindaco, la socialista Johanna Rolland, chiede sia fatta luce sull’attacco. Una delle persone ferite lunedì sera è morta nell’ospedale dove sono ricoverate anche le altre nove vittime, quattro in condizioni gravi. I commercianti non hanno voluto riaprire gli stand fino al pomeriggio in segno di solidarietà. Il mercatino di place Royale è presidiato dalle forze dell’ordine ed è davvero difficile per le famiglie venire a comprare cioccolatini e bere vin brulé.
Non sarà più un Natale come gli altri.

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«Se non c’è una rete con affiliati e obiettivi chiari non si può parlare di terrorismo. Oppure dovremmo considerare qualsiasi atto criminale come terrorismo». L’orientalista Olivier Roy, specialista dell’Islam, vuole fare chiarezza dopo lo choc per la serie di attacchi da Joué-lés-Tours a Nantes, passando per Digione. «Evitiamo di fare confusione e gettarci nel panico» ripete Roy, professore all’Istituto universitario europeo di Firenze e autore del saggio su nuove religioni e fondamentalismi moderni, “Santa Ignoranza” e di un dialogo sull’Oriente appena uscito in Francia, “En quête de l’Orient perdu”.
Come dobbiamo chiamarli: lupi solitari?
«Paragonarli a dei lupi mi sembra un complimento. Direi piuttosto sfigati solitari. Sono degli squilibrati che cercano visibilità. Se gridi “Allah Akbar” mentre compi un gesto criminale allora sei sicuro di andare in prima pagina e nei notiziari televisivi. Il pazzo che minaccia il vicino con una pistola viene catalogato come fatto di cronaca nera. Se cita l’Islam allora diventa un pericoloso terrorista».
La propaganda dell’Is ha più probabilità di attecchire su psicologie fragili?
«Una persona con tendenze suicide spesso vuole compiere anche un gesto spettacolare. La propaganda dell’Is è quel che questa persona malata trova sul mercato: il mezzo più efficace per attirare l’attenzione su di sé. È lo stesso meccanismo che cattura i giovani che partono in Siria. In altri tempi avrebbero forse seguito movimenti politici o insurrezionali di diverso tipo».
Bisognerebbe impedire a questi ragazzi di partire?
«Spiace dirlo, ma gli individui più pericolosi non sono quelli che partono: sono quelli che rimangono. Il ragazzo che ha attaccato il parlamento canadese qualche settimana fa avrebbe voluto partire in Siria. Le autorità gli avevano ritirato il passaporto. La frustrazione può essere anche peggio della velleità di andare a fare la guerra».
I jihadisti occidentali non rischiano però di tornare addestrati per poi colpire da noi?
«Intanto nel momento in cui partono escono allo scoperto, sono tracciati dall’intelligence proprio perché frequentano siti jihadisti. E questo è un bene per la prevenzione del terrorismo. Non dimentichiamoci poi che molti tornano da pentiti e diventano quindi una preziosa fonte di informazione. Il vero pericolo sono gli individui che restano qui, meditando in solitudine un gesto fatale, senza avere nessun legame con l’Is: l’intelligence ha scarse probabilità di intercettarli».
Come dovrebbero reagire le autorità?
«Il messaggio del governo francese è contraddittorio. Prima cerca di minimizzare i fatti, poi sostiene che la minaccia terroristica non è mai stata così grave».
È sbagliato pensare che il rischio di attentati sia oggi è più elevato che in passato?
«L’Is non ha ancora mezzi e uomini per organizzare un grande attentato in Francia. Non è un’organizzazione professionale come Al Qaeda. Inoltre, Al Qaeda ha sempre voluto colpire l’Occidente, mentre l’Is si è concentrata all’inizio solo sul Medio Oriente».
La partecipazione ai bombardamenti contro l’Is ha cambiato il contesto geopolitico?
«Ora effettivamente l’Is ha preso di mira anche l’Occidente. Ma non sappiamo se sarà in grado di colpire, o se invece Al Qaeda tenterà di organizzare attentati proprio per riacquistare una posizione dominante. Finora i bombardamenti occidentali contro l’Is funzionano solo quando sono in appoggio a terra di combattenti locali, tra curdi, sunniti, sciiti. Purtroppo la soluzione non è militare ma politica: serve un accordo per Iraq e la Siria. E quindi ci vorrà tempo. Prima potrebbe esserci una rivolta della popolazione contro l’Is, in particolare a causa dei matrimoni forzati».
Perché la Francia è più esposta di altri paesi al rischio di attentati?
«In termini assoluti è il paese che ha più jihadisti, tra i mille e i duemila. Ma termini percentuali il Belgio ne ha di più. La Francia però ha un elevato numero di convertiti: il 22% dei jihadisti, secondo fonti dell’intelligence. Questo dato dimostra che non è la comunità musulmana che si radicalizza. Anzi, gli squilibrati di Digione e Nantes probabilmente erano poco inseriti socialmente con altri musulmani».
Prima dei casi francesi, c’erano stati gli attacchi in Canada e in Australia. Dobbiamo temere un’escalation?
«È probabile. C’è un fenomeno di emulazione che può portare altri a seguire l’esempio proprio per il panico e l’attenzione dei media che suscita. Il mondo ha atteso con ansia di vedere cosa sarebbe accaduto agli ostaggi di Sydney, mentre quasi in contemporanea una madre australiana ha ucciso i suoi otto figli. Se avesse urlato “Allah Akbar” sarebbe finita anche lei nei flash delle agenzie».