Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  dicembre 24 Mercoledì calendario

Perché la crisi politica della Grecia può influenzare l’elezione del nuovo Capo dello Stato italiano. Un eventuale grave stallo a Montecitorio non passerebbe inosservato in Europa. L’ipotesi di una ventina di votazioni a vuoto per scegliere il successore di Napolitano, in un tripudio di franchi tiratori e di nomi bruciati, è drammatica per l’immagine di Renzi a Bruxelles

Ad Atene anche la seconda votazione per eleggere il presidente della Repubblica è fallita. Ne resta solo una e poi i greci saranno chiamati alle urne per le elezioni generali. Come è noto, il partito largamente favorito, vincitore pressoché certo, è la nuova sinistra di Syriza, con il suo programma anti-austerità e la richiesta di rinegoziare il debito. Si tratta della più aperta e insidiosa sfida all’Europa come è oggi. Le conseguenze non sono prevedibili, ma di certo non saranno insignificanti e potrebbero investire larga parte dell’eurozona.
Non c’è ovviamente un nesso diretto fra quello che avviene nel Parlamento greco e quello che potrà accadere fra poche settimane nel Parlamento italiano. Da noi non esiste la clausola che obbliga alle elezioni dopo tre voti nulli. In teoria si può andare avanti all’infinito, eguagliando e superando il record delle 23 votazioni che furono necessarie nel 1971 per eleggere Giovanni Leone. Tuttavia il mondo è parecchio cambiato in quarant’anni. Un tempo le convulsioni istituzionali erano un vizio solo domestico, oggi s’intrecciano con i destini dell’Unione, a Roma non meno che ad Atene. E se è realistico supporre che la Grecia, un piccolo paese, è in grado di intaccare gli equilibri europei, forse di sconvolgerli, è altrettanto verosimile immaginare che un grave stallo a Montecitorio non passerebbe inosservato.
L’Italia è un paese ancora bisognoso di vedere riconosciuta la propria affidabilità, un fragile patrimonio che non riguarda solo i conti pubblici sostenibili ma tocca vari aspetti della sfera politica. Quindi l’ipotesi di una ventina di votazioni a vuoto per eleggere il capo dello Stato, in un tripudio di franchi tiratori e di nomi «bruciati», è drammatica per Renzi: rischia di essere distruttiva per la sua immagine in Europa prima ancora che in Italia. Non solo: la crisi greca potrebbe proiettare le sue ombre sulle rive del Tevere e dare alimento a tutti i gruppi antieuropei, spesso ostili anche alla moneta unica.
Ecco perché il lavorìo sotterraneo per evitare il collasso è già cominciato, mentre Napolitano è ancora al Quirinale e da lì tiene a dimostrare di non essere un presidente dimezzato. Sembra di capire, anzi, che il capo dello Stato vorrebbe vedere risolta l’annosa questione dei due marò, lasciata macerare per troppo tempo anche a causa di errori di valutazione e talvolta per indifferenza. In tal senso, la sua sollecitazione al governo è diventata negli ultimi giorni piuttosto pressante. Si vedrà nelle prossime settimane.
Quel che è certo, la partita della legge elettorale è più che mai essenziale per capire come andrà il gioco dell’oca del Quirinale. È significativo che Berlusconi non parli più di posticipare il voto sulla riforma alla scelta del successore di Napolitano. Ora lascia credere che si possa votare in prima istanza la legge elettorale, offrendo così un grande vantaggio tattico a Renzi, e subito dopo dedicarsi al Colle. Di fatto, la rinuncia ai veti è un altro regalo che il semi-alleato fa al giovane premier. Il quale può adesso dedicarsi alla minoranza del Pd con qualche carta in più. In fondo, è come se Berlusconi gli avesse detto: «scegli tu il nome e a me andrà bene, purché non si tratti di una provocazione» (e a questo punto Romano Prodi avrà avuto la conferma di essere il nemico numero uno del patto del Nazareno o di come si preferisce chiamarlo).
Di fatto Renzi individuerà una rosa dei nomi e li sottoporrà al suo partito: quei circa 460 grandi elettori che possono vincere la battaglia oppure perderla in modo rovinoso. La minoranza può ancora sperare di essere chiamata a condividere la scelta, attraverso un nome in cui possa riconoscersi. Ma la mossa di Berlusconi ha cambiato le carte in tavola e reso più impervia la strada di Bersani e D’Alema. In ogni caso non c’è da aspettare molto: dal 7 gennaio si discuterà la legge elettorale e il quadro sarà più nitido.