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 2014  dicembre 24 Mercoledì calendario

Il fatto che il Pil americano sia salito nell’ultimo trimestre del 5% è una notizia buona o una notizia cattiva?È una notizia buona, naturalmente

Il fatto che il Pil americano sia salito nell’ultimo trimestre del 5% è una notizia buona o una notizia cattiva?

È una notizia buona, naturalmente. Specialmente pensando che un buon 70 per cento del Pil americano è determinato dai consumi. Se gli americani consumano, significa che comprano. Se comprano ci sarà un qualche spazio anche per noi venditori di una quantità infinita di prodotti che escono dalle nostre fabbrichette. I dati del nostro export sono ancora in controtendenza rispetto alla crisi generale. Cioè esportiamo ancora bene, nonostante gli ostacoli che ci mette tra le gambe il sistema paese. C’è poi un altro motivo per cui i dati sul Pil americano devono farci piacere: con quei numeri il dollaro non può che rafforzarsi e, almeno sul dollaro, l’euro indebolirsi. Ieri infatti la nostra valuta ha chiuso a 1,2164 sul biglietto verde, che non molto tempo tempo fa stava a 1,34/1,35. L’euro meno forte di prima favorisce ancora una volta le esportazioni, nostre e dei nostri cugini continentali. Quindi, bene. Naturalmente sarebbe ancora meglio se l’euro si indebolisse pure sul rublo e sullo yen. Ma non si può avere tutto.
E che ne dice dell’invidia che provo verso gli americani che vanno tanto forte?
Renzi ha detto: «I dati americani dimostrano che puntare su investimenti e crescita funziona. Altro che austerità! Ecco perché l’Europa deve cambiare». È una conclusione un po’ troppo facile e che dimentica la peculiarità degli Stati Uniti. Ricorda, tanto per fare un esempio, la crisi del loro comparto automobilistico, cioè di General Motors e Chrysler? Due settori praticamente morti, per i quali erano state avviate le procedure di fallimento, e resuscitati non solo dalla disponibilità della Casa Bianca a fare ogni sforzo in termini finanziari, ma anche dalla velocità e dalla spregiudicatezza dell’intervento. Sindacati che accettano senza fiatare i sacrifici, ingresso di un socio straniero (Marchionne) al quale ci si affida totalmente, prestandogli i capitali necessari e imponendo che siano restituiti, condizioni di partnership chiarissime e rispettate, eccetera eccetera. Un sistema così efficiente reagisce bene quando viene stimolato dai capitali pubblici, specialmente se i capitali pubblici poi rientrano, specialmente se quote di quei capitali pubblici non servono ad arricchire questo o quello, specialmente se nella logica del risanamento non entrano considerazioni relative alle zone di rispetto dei vari mandarini, mandarini politici e mandarini finanziari. Dire che basterà fare altri debiti o stampare moneta all’infinito perche tutto si risolva e si ritorni all’età dell’oro è altamente ingannevole. Il Giappone ci ha provato ed essendo a sua volta un paese demograficamente ed istituzionalmente arretrato, la cura non ha funzionato.  

Quindi?
Quindi hanno ragione i tedeschi quando ci esortano a diventare una società moderna, che vive meno di prebende, sottogoverno e corruzione e più di lavoro, merito e profitto conquistato sul campo. Sono discorsi che, con le dovute cautele, fa anche Draghi.  

E allora perché Draghi ci aiuta così tanto comprando titoli del debito pubblico o, che in una certa misura è lo stesso, annunciando che li comprerà e che «farà tutto quello che è necessario»?
Perché la moneta, finché è possibile, va difesa. Ma per la sola via finanziaria non c’è da sperare di durar troppo. L’anno prossimo votano Grecia, Spagna, Portogallo, Regno Unito. Ovunque avanzano i partiti anti-europeisti e, secondo i sondaggi, in Grecia, in Spagna e nel Regno Unito vinceranno le elezioni. Questi partiti non pretenderanno semplicemente di uscire dall’euro: chiederanno che, per restar dentro, l’Europa si faccia carico dei loro debiti. Forse il 2015 sarà l’anno in cui tutti, Germania compresa, saranno costretti a una revisione profonda del sistema. La Germania spostando capitali nel sud del Continente e il sud del Continente riformando se stesso e la propria mentalità. In Grecia credono ancora che il loro default sia stato manovrato dalla finanza ebraica che si vuole impadronire del loro petrolio. In Grecia, purtroppo, non c’è nessun petrolio.  

E se da noi arrivasse la Troika?
Ieri lo spread era a 135. Per il momento, si direbbe che la Troika è lontana.  

E se Draghi diventasse presidente della Repubblica?
Qualcuno dice che in quel caso lo spread salterebbe a 6-700 punti: senza più l’uomo che a Francoforte garantisce l’acquisto del debito i mercati si spaventerebbero e venderebbero a man bassa i nostri Btp. Ma può anche darsi di no: con Draghi al Quirinale, magari, penseranno che finalmente i nostri conti sono messi sotto controllo. Chi sa. Intanto, Buon Natale. Ci rivediamo il 27.