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 2014  dicembre 19 Venerdì calendario

Putin solo contro tutti. La strategia dell’assedio funzionerà? Nel discorso di fine anno ha cercato di rassicurare i russi: «La crisi del rublo passerà, non rinunceremo mai a difenderci, anche se in Ucraina vogliamo la pace». Ma la sua Russia ora dovrà affrontare quattro grandi sfide. Ecco quali sono

L’orso russo, la vodka, la «quinta colonna», il poeta Lermontov («oppositore sì, ma patriota»), l’amore, la Coca-Cola che fa male, la Cecenia e il contratto sul gas con la Cina: in più di tre ore di conferenza stampa di fine anno Vladimir Putin offre ai 1200 giornalisti presenti e a tutta la Russia in diretta tv la sua visione del mondo. È forse il suo appuntamento con la stampa più difficile, dopo i giorni neri del rublo e le nuove sanzioni occidentali per la Crimea. Le domande anche dei giornalisti dei media governativi sono insolitamente pungenti, e sui social network si insiste sui colpi di tosse del presidente che diventano più frequenti quando cerca di rassicurare i russi che la crisi economica passerà, «ma nessuno sa di preciso quando». Ma c’è spazio anche per i siparietti che rendono famoso il personaggio Putin, come quando prende per ubriaco un giornalista vittima di un ictus. Racconta di non sapere quanto guadagna – «mi portano la busta paga e la metto via» – e di essere stato interrogato sulla sua vita privata davanti a un bicchiere di vodka da un «collega europeo, un pezzo grosso», al quale ha confessato di amare ed essere ricambiato. Ma il nome della fortunata resta un segreto.
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Sulla politica estera il Presidente torna all’attacco e paragona il suo Paese a un «orsetto» che i nemici stranieri vogliono «impagliare» dopo avergli strappato «denti e artigli» (l’arsenale nucleare, ndr). Alle accuse di nuova guerra fredda risponde: «Non siamo aggressivi, stiamo solo difendendo i nostri interessi». Sono gli Stati Uniti d’America semmai a «costruire nuovi Muri virtuali» con l’allargamento della Nato verso est: «Si considerano un impero di cui tutti sono vassalli». Putin sospetta che qualcuno abbia delle mire sulla Siberia, e la paragona al «Texas strappato al Messico». L’Europa e le sue nuove sanzioni (che spaccano gli stessi europei) non vengono nemmeno menzionate.
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Il capo del Cremlino ribadisce che nel Paese vicino c’è stato «un golpe», e alla domanda di un giornalista di Kiev su quanti soldati russi ha mandato nell’Est ucraino replica: «Sono andati solo volontari che non erano pagati». Un’ammissione indiretta dell’intervento militare russo nel Donbass, ma Putin smorza anche i toni auspicando il rispetto della tregua di Minsk, ed evita riferimenti ai secessionisti e a termini come «Nuova Russia» da lui stesso introdotti qualche mese fa. «La soluzione non può che essere pacifica», sostiene e rivela che il suo collega ucraino Petro Poroshenko sarebbe anche d’accordo, «ma non è il solo a decidere».
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Alla crisi del rublo Vladimir Putin risponde con il mantra «la ripresa è inevitabile» che ripete più volte. La «turbolenza» dell’economia mondiale finirà e tornerà la domanda di petrolio, e intanto «per noi il prezzo del barile è indifferente, l’economia si adatterà». Il Presidente russo sembra credere più in una «mano invisibile» che nel suo governo che comunque «ha operato correttamente». La crisi non è il «prezzo per la Crimea», anche se Putin ammette che «per il 25-30 per cento» la crisi è frutto delle sanzioni. Il rublo reagisce con una flessione, ma poi chiude la giornata in ripresa, insieme alla Borsa di Mosca.
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Putin non ha paura di un colpo di palazzo contro di lui perché «non abbiamo palazzi» e i russi lo seguono «con il cuore e l’anima» perché sanno che difende i loro interessi. Non teme nemmeno lo scontento delle élite per la crisi in corso perché «la nostra élite è il lavoratore, il contadino». E anche se ammette che «la responsabilità di tutto quello che accade nel Paese è del capo di Stato» non guarda i sondaggi: «Appena cominci a lavorare per la popolarità, questa scende». Ma è prudente sulla prospettiva di ricandidarsi a guidare la Russia per la quarta volta alle presidenziali del 2018: «Troppo presto per parlarne, ora bisogna lavorare».