Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  dicembre 17 Mercoledì calendario

A Berlino va in scena a teatro Kaputt di Curzio Malaparte col narratore interpretato da una donna. Ed è subito polemica. Per la critica tedesca l’autore nel testo del 1943 «non si assume responsabilità ed è entusiasta dei nazisti»

Il regista Frank Castorf è fin dal 1992 soprintendente del Volksbünhne, il teatro di Rosa-Luxenburg-Platz, a Berlino, che con lui è diventata una delle scene tedesche più sperimentali e provocatorie. Tra le altre forme di sperimentazione, al berlinese piace molto attingere storie da testi non nati per il teatro, in particolare da romanzi, meglio se di notevoli dimensioni (qualcuno lo definisce un «feticista della quantità»): così è stato per esempio, con L’idiota di Fëdor Dostoevskij, con Berlin Alexanderplatz di Alfred Döblin e con Viaggio al termine della notte di Ferdinand Céline. E da alcune settimane (ogni sabato per tutto dicembre e a gennaio ogni due settimane) l’ultima sua scommessa è Kaputt, quel «libro crudele» (così lo definiva stesso autore) scritto da Kurt Erich Suckert, alias Curzio Malaparte, tra il 1941 e il 1943.
In quegli anni lo scrittore e giornalista si mosse come corrispondente di guerra per il Corriere della Sera lungo l’intero fronte orientale. Il libro, uscito in Italia nel 1944 e in versione tedesca già nel 1951, procede per episodi per lo più autobiografici e in esso, secondo Malaparte, «la guerra conta come fatalità. Non v’entra in altro modo. Direi che v’entra non da protagonista, ma da spettatrice, in quello stesso senso in cui è spettatore un paesaggio. La guerra è il paesaggio oggettivo di questo libro».
Interessante che nella Berlino odierna si recuperi un autore italiano che dal punto di vista ideologico, come ha scritto Irene Bazinger sul Frankfurter Allgemeine, è stato «animato da un estremismo particolarmente flessibile» (dall’entusiasmo per Mussolini, passando per Trotzki, fino ad arrivare a Mao). Nella sua recensione allo spettacolo la Bazinger sottolinea che dell’autore del libro è meglio «non fidarsi», poiché da un lato «descrive con distacco e senza giudizio morale gli atti criminali» e dall’altro «dipinge in maniera perfino entusiasta ogni luridume nazista».
Nella messa in scena di Castorf, presentata come un «Tour de force européenne», il narratore-Malaparte è una donna, la francese Jeanne Balibar («superlativa», secondo Thomas Assheuer del settimanale Zeit), che porta baffi e pantaloni, ma anche abito da sera e tacchi a spillo, e diventa quasi un eroe, «o quantomeno un impavido intellettuale», scrive la Bazinger, «che non rifugge alcun rischio e che tuttavia non è disposto a assumersi alcuna responsabilità».
La scenografia, firmata da Bert Neumann, presenta inizialmente elementi storici che ricordano la vecchia Europa (due colonne nere, le rovine di una porta di un muro danneggiato) e un animale d’oro (un leone, una lupa?). In seguito la scena viene occupata da un container nero nel quale gli attori si rintanano. Da questo momento e per gran parte della rappresentazione al pubblico è concesso di seguire ciò che avviene lì dentro solo attraverso immagini proiettate su di uno schermo. Il risultato, come sottolinea anche la Bazinger, è che «non è possibile distinguere ciò che lì dentro accade, se il massacro di ebrei, il mostrarsi di bellezze tedesche o scene da un bordello della Wehrmacht», in ogni caso si sente risuonare sempre la frase: «Su di loro, ruggendo!». Il citato Assheuer, che nell’insieme ha recensito positivamente il Kaputt di Castorf, sostiene che all’interno di quel container nero «le cattive energie si scambiano continuamente le parti, cambiano la loro forma e tuttavia restano sempre uguali a se stesse». E mentre nello spazio ristretto del container infuria la vita, ha notato invece la Bazinger, «in sala prevale stanchezza e rassegnazione».
Una rappresentazione, questa di Cartorf, che con l’aggiunta di brani, i più violenti, estratti dall’altro testo malapartiano La pelle (da questo romanzo è tratta anche l’ultima frase della messa in scena: «È una vergogna vincere la guerra»), finisce col durare sei ore e la musica che l’accompagna praticamente senza interruzione, aggiunge ancora la Bazinger, «non la rende più piacevole».
Insomma, alla FAZ l’esperimento malapartiano del regista berlinese non è piaciuto: «Con Kaputt Frank Castorf si è doverosamente fatto male da sé e tenendo conto del romanzo contraddittorio questo non può che essere una cosa buona». Non meno critico il settimanale Stern, secondo cui Castorf delude «per le numerose lungaggini, per i vuoti di pensiero e per i momenti ridondanti», con l’aggiunta che «manca del tutto un qualsiasi riferimento a dibattiti legati al nostro presente». Al contrario, per Asshauer «l’orgia di bestemmie diffusa nel mondo lascia un vuoto atmosferico, suscita un’attesa apocalittica, l’attesa di un evento decisivo». E questo «evento imminente», evocato da Castorf attraverso Malaparte, aggiunge il critico di Zeit, «non è né di sinistra, né di destra, potrebbe essere qualsiasi cosa, qualcosa di mitico o carismatico, ciò che più conta è che farà precipitare nella polvere il vincitore della storia».