Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  dicembre 17 Mercoledì calendario

Dalla bicicletta alle scarpe senza macchie di sangue: ecco gli elementi al vaglio dei giudici che possono incastrare Alberto Stasi, rimasto l’unico indagato per il delitto di Chiara Poggi. Oggi la sentenza dell’Appello bis

Lo sguardo gelido, per alcuni distaccato, non ha mai abbandonato Alberto Stasi. Anche durante i mille interrogatori, anche al momento delle assoluzioni in primo e secondo grado per insufficienza di prove. Chissà se oggi, alla lettura della sentenza dell’Appello bis, tradirà un’emozione. La data, il 17, pare non lo spaventi. A preoccuparlo sono i nuovi elementi presentati dall’accusa nel processo voluto dalla Cassazione per mettere fine al mistero della morte di Chiara Poggi, uccisa nella sua villetta di Garlasco il 13 agosto 2007. Per la Suprema Corte i processi precedenti erano pieni di buchi ed errori, secondo gli avvocati della famiglia della vittima, Francesco Compagna e Gian Luigi Tizzoni, «ci sono 11 indizi gravi, precisi e concordanti» che portano a una unica conclusione: a ucciderla è stato Alberto Stasi.
Partiamo dalla ripetizione della camminata dell’imputato, l’esame disposto per capire come abbia fatto Stasi a non calpestare il sangue entrando in casa della fidanzata. Secondo i legali dei Poggi il nuovo test ha stabilito definitivamente che per la quantità di sangue e la sua disposizione è impossibile che le suole non si siano sporcate. A tal proposito la ripetizione ha permesso di evidenziare un’impronta di piede lasciata dall’assassino: la perizia dice che è compatibile con la suola di una Frau numero 42, proprio il numero di Stasi che nell’armadio aveva un paio di scarpe della stessa marca ma in versione invernale.
Altra novità: «Due graffi sul braccio dell’ex studente della Bocconi», notati da due carabinieri della stazione di Garlasco subito dopo il ritrovamento del cadavere. Ancora: l’impronta dell’anulare destro di Stasi mischiata al dna della vittima trovata sul dispenser del sapone in bagno dove «è certo che l’assassino si è lavato le mani». Poi c’è il mistero delle biciclette e dei pedali. La prima è quella che la vicina di casa Franca Bermani ha raccontato di aver visto la mattina dell’omicidio: una «bici nera da donna con portapacchi posteriore» appoggiata al muretto della villa. Per una serie di disattenzioni è stata sequestrata solo sette anni dopo e solo allora si è scoperto che aveva dei pedali diversi, i pedali di una «Giubileo» Umberto Dei da uomo, color bordeaux, di proprietà di Alberto.
Questa la ricostruzione dell’accusa: Stasi va da Chiara con la bici nera, la uccide, torna indietro e lascia sui pedali le tracce; avendo poi saputo della testimonianza, avrebbe scambiato i pedali con la Giubileo rendendo «pulita» la bici nera, la prima a dover essere sequestrata. E invece, per passaggi quasi illogici, gli investigatori sequestrano quella bordeaux, le indagini si complicano e si arenano. Il risultato sono le due assoluzioni (in primo grado nel 2009 e in appello nel 2011) per mancanza di prove, dell’arma del delitto e del movente.
Eppure l’unico imputato è sempre stato Stasi, il 24enne ex studente bocconiano con la faccia pulita che il 13 agosto 2007 trova il corpo di Chiara in una pozza di sangue. Il 20 agosto la Procura di Vigevano lo indaga per omicidio volontario e i carabinieri sequestrano la sua bici e il suo computer. Quattro giorni dopo il pm Rosa Muscio ordina il fermo: la prova che lo inchioderebbe, secondo gli investigatori, sarebbe il dna della vittima sui pedali della bicicletta in sella alla quale Alberto sarebbe fuggito. Ma il 28 settembre il gip Giulia Pravon dispone la scarcerazione. Sembrava la fine di un incubo, ma ad aprile 2013 la Cassazione annulla tutto e ordina l’appello bis perché i processi precedenti sarebbero pieni di errori. Il più clamoroso riguarda quattro ditate intrise di sangue impresse sul pigiama rosa della vittima all’altezza della spalla sinistra. Esiste una foto ma non la prova: dopo lo scatto, infatti, chi ha svestito e rimosso il cadavere ha completamente sporcato di sangue il pigiama, cancellando le impronte e forse la soluzione del caso. Oggi conosceremo la verità, almeno quella giudiziaria.