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 2014  dicembre 17 Mercoledì calendario

Un terzo Bush alla conquista della Casa Bianca. Jeb, figlio di George H.W. e fratello di George W., annuncia su Facebook: «Sì, mi candido». Riparte così l’eterna sfida con i Clinton

«Ho deciso di valutare attivamente la possibilità di correre come presidente degli Stati Uniti». Non era un segreto per nessuno, ma adesso è (semi) ufficiale. Jeb Bush, figlio e fratello minore degli ultimi due presidenti repubblicani, si candida alla Casa Bianca 2016, primo leader di peso a entrare in lizza – mancano quasi due anni alla fatidica data dell’8 novembre – in quella che si annuncia come una delle più combattute e imprevedibili (sicuramente la più costosa) sfide per entrare al numero 1600 di Pennsylvania Avenue e diventare per quattro anni l’uomo (o la donna) più potente del pianeta.
Per annunciare la sua discesa in campo al mondo – e soprattutto ai suoi fan repubblicani e agli amici-nemici del Grand Old Party – l’ultimo Bush ha scelto il più popolare dei social network, Facebook, ennesima dimostrazione come ormai la lotta politica si eserciti più sulla Rete che con i media tradizionali: un messaggio di quindici righe postato sulla sua pagina personale e titolato “A note from Jeb Bush”. Più tradizionali le parole usate, con quella frase («valutare attivamente») che tradotta dal politichese americano significa che il suo staff (e la potente famiglia che ha alle spalle) sono già partiti a caccia di ricchi finanziamenti.
Dodici anni dopo la vittoria di George W. e ventotto anni dopo quella di George H. W. un Bush torna dunque nell’arena più grande dove, con molte probabilità, troverà sul suo cammino l’esponente di un’altra grande famiglia politica degli States, una ex First Lady, ex senatrice di New York ed ex Segretario di Stato. Tra Hillary Rodham Clinton e John Ellis “Jeb” Bush non sarà solo una sfida all’ultimo sangue tra le due dinastie che (parentesi di Obama a parte) guidano l’America dal lontano 1988. Sarà la sfida tra un uomo e una donna, tra due politici navigati (Jeb è stato governatore della Florida dal 1999 al 2007) che hanno diverse somiglianze su idee e valori di base, ma che sono chiamati a rappresentare (e a mobilitare) due Americhe diverse e divise.
«Buon Natale e Felice Hanukkah», esordisce Jeb nel suo messaggio su Facebook ricordando come anche la sua famiglia si sia ritrovata «recentemente per la festa di Thanksgiving», l’unica festività che accomuna tutti gli americani di ogni classe sociale, razza o religione. «Columba (la moglie messicana, ndr) ed io siamo orgogliosi di come i nostri piccoli siano diventati adulti meravigliosi». Poche parole per tacitare i critici – quelli che avevano iniziato a rinfacciargli la sua vecchia decisione di non candidarsi per stare di più con la famiglia – e per lanciare nell’arena colei che potrebbe diventare il suo asso nella manica, la moglie.
In una campagna elettorale in cui l’immigrazione sarà uno dei punti cruciali sia alle primarie del Gop (i suoi avversari interni del Tea Party già affilano le lame) che nella eventuale sfida con Hillary, avere una candidata First Lady “latina”, che parla castigliano e conosce le problematiche di una categoria di elettori sempre più determinante può essere un bel vantaggio. Come lo sarà la popolarità di Jeb in Florida, Stato che ormai da quindici anni è decisivo per assegnare la Casa Bianca. Hillary e la “Clinton Machine” sono dunque avvisati.