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 2014  dicembre 17 Mercoledì calendario

Il crollo del rublo fa tremare la Russia e anche l’Europa. La Banca centrale di Mosca alza i tassi ma non basta, scattano i rincari. L’area euro punta da tempo a tassi di cambio su livelli più contenuti, ma l’instabilità finanziaria in Russia e i tremori sismici nelle monete delle grandi economie emergenti spingono verso esiti esattamente opposti. Un euro più debole sui mercati globali è da mesi è l’obiettivo, implicito, di gran parte dei governi e dei banchieri centrali europei

La Stampa,

Dopo il «lunedì nero», in cui il rublo ha perso un decimo del suo valore in un giorno, è arrivato il «martedì nero».
Il flop della moneta
La decisione notturna della Banca Centrale di alzare i tassi dal 10,5% al 17% ha regalato al rublo solo pochi minuti di ossigeno. L’euro ha superato nel pomeriggio la fatidica quota dei 100 rubli, il dollaro i 70, rendendo il rublo la moneta con la peggiore performance mondiale del 2014, con una svalutazione superiore al 50%. Anche gli indici di borsa sono franati, per niente rassicurati dalla riunione del governo che in serata ha promesso nuove misure, tra cui forse ulteriori rialzi del costo del denaro e ricapitalizzazione delle banche.
In alcuni uffici cambi della provincia russa venivano segnalati prezzi da panico di 150 rubli per euro, a Mosca le banche acquistato tabelloni a tre cifre. Alcuni istituti hanno interrotto l’erogazione di prestiti e mutui ad aziende e privati e bloccato le carte di credito.
Corsa agli acquisti
Mentre la Borsa veniva ulteriormente spaventata dalla notizia, poi smentita, che Gazprom stava licenziando un quarto dei dipendenti, i russi impegnati nello shopping prefestivo ricevevano brutte sorprese. Nella sola giornata di ieri c’è stato un rincaro del 15-25% sui biglietti aerei e ferroviari per l’estero, e in serata l’Apple store ha chiuso di nuovo per riscrivere i cartellini, che molti commercianti hanno già convertito in dollari nonostante sia illegale. Tutto esaurito nei concessionari auto: in attesa dell’aggiornamento dei prezzi sono stati spazzati via Suv di lusso.
Un panico provocato da «emotività e speculazione», secondo il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov che, forse per tranquillizzare i mercati, ha comunicato che Vladimir Putin non ha intenzione di convocare l’esecutivo. Un segnale interpretato da molti invece in senso negativo, soprattutto dopo che l’ex ministro del Tesoro Alexey Kudrin, considerato uno dei migliori tecnici russi, ha smentito di aver ricevuto l’offerta di guidare il governo. Il vicepremier Yuri Trutnev invita a vedere la situazione «come uno stimolo per lo sviluppo», ma il governo aumenta le stime per l’inflazione a 10-12% per gennaio.
Il peso dei debiti

La Banca Centrale ha speso solo lunedì 2 miliardi di dollari di riserve, e il vicegovernatore Serghey Shvetsov ieri ha parlato di situazione «critica» e di «un incubo impensabile un anno fa». Un anno fa però non c’erano stati né l’annessione della Crimea con la guerra in Ucraina, né le sanzioni, né il crollo del barile. Shvetsov fa il paragone con il 2008, uno dei leader dell’opposizione Boris Nemzov guarda addirittura al default del 1998: se allora la Russia franò sotto il peso del debito estero, oggi sono le banche e le major statali a piegarsi sotto il peso di rispettivamente 200 e 450 miliardi di dollari di debiti. E secondo il gossip dei mercati, a far franare il rublo lunedì è stata proprio una di queste società, la petrolifera Rosneft che avrebbe convertito in valuta il prestito governativo di 625 miliardi di rubli.

Anna Zafesova

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Il Sole 24 Ore,

Due notizie di stampa russe, ieri mattina, facevano compagnia a quelle sul tracollo disperato del rublo: la prima sembrava venire da un mondo a sé. Annunciava che, per il 15° anno consecutivo, un sondaggio ha assegnato a Vladimir Putin il titolo di “Persona dell’anno”.
E questo con un tasso di popolarità doppio, rispetto a quello messo a segno l’anno scorso. La seconda notizia, invece, era molto più in sintonia con la gravità della giornata. Gazprom, un tempo onnipotente monopolio del gas, starebbe pensando a una drastica riduzione dei suoi 459mila dipendenti, un taglio tra il 15 e il 25%: lo scrive Interfax, citando fonti della compagnia. Se confermata, la notizia andrebbe ad aggiungersi ai campanelli d’allarme che iniziano a denunciare l’impatto della crisi sull’economia reale russa. Portando i tassi di interesse a livelli che il Paese non può sostenere a lungo, rendendo proibitivi gli investimenti:?la Banca centrale sacrifica la crescita nel tentativo di ristabilire una certa stabilità finanziaria. Ma è sull’aumento dei salari, i posti di lavoro, la difesa delle spese sociali che Putin si è conquistato - in 15 anni al potere - la popolarità di “Persona dell’anno”.
Un triste anniversario
Non era così che il presidente immaginava di festeggiare il suo anniversario. Quindici anni fa, il 31 dicembre 1999, Boris Eltsin apparve in tv per consegnare al suo ultimo premier, fino a poco prima sconosciuto, le chiavi del Cremlino. I prezzi del petrolio, il cui calo aveva contribuito al default del 1998, avevano già iniziato a riprendersi, rendendo possibile il boom del primo decennio di Putin presidente: dandogli la possibilità di tornare a pagare pensioni e stipendi in tempo, di sbriciolare la mole del debito estero, di ridare orgoglio al Paese. È tutto quello che si vorrebbe celebrare nel progetto “I 15 anni di Putin, l’inizio di una nuova era”, un’iniziativa che da giorni troneggia sul sito internet dell’agenzia Tass: un confronto tra lo stato dell’economia ereditato dal presidente e i progressi compiuti in questi anni, nei vari settori industriali. Dall’agricoltura all’energia, foto in bianco e nero di strutture fatiscenti che si trasformano in colorati impianti d’avanguardia. Non c’è stato tempo per arrivare a una trasformazione completa dell’economia, sganciandola da gas e petrolio. E ora, l’ombra di questa crisi.
Finora Putin ha ostentato grande tranquillità, e la convinzione che né le sanzioni occidentali né il calo dei prezzi del petrolio potranno mettere a rischio la stabilità raggiunta dal Paese. «Non vedo perché non dovrebbe preoccuparsi - diceva qualche settimana fa Konstantin Sonin, professore della Scuola Superiore di Economia di Mosca - ma non bisogna fare caso a quello che dice: Putin non capisce l’economia». Mentre l’impatto dell’inflazione sui prezzi dei generi alimentari, o della svalutazione su mutui e debiti in valuta, oppure le rinunce a viaggi e acquisti sono fatti ben chiari a chi inizia a pagare personalmente il prezzo della crisi. È la stessa Banca centrale a riconoscere il legame diretto tra il destino dell’economia russa e il petrolio, su cui si appoggiano i conti pubblici. Se il prezzo del greggio dovesse restare intorno ai 60 dollari il barile, ha fatto sapere Bank Rossii nel lunedì nero del rublo, nel 2015 la recessione potrà arrivare al 4,5-4,7 per cento.
Le sfide per Putin
Gli osservatori di questa “tempesta perfetta” - in cui il calo del petrolio si è sommato al peso delle sanzioni internazionali su banche e imprese che non possono più contare sui finanziamenti dall’estero per onorare i propri debiti - si dividono in due campi: chi ritiene che la Russia ha risorse sufficienti per affrontarla, e chi disegna scenari più traumatici, ricordando quello che avvenne all’Urss o alla Russia del ’98 dopo lunghi periodi di petrolio a basso prezzo, chiedendosi quanto potrà resistere la popolarità del presidente.
Putin la metterà alla prova domani, nella lunghissima “conversazione” in cui risponde per ore a domande e osservazioni trasmesse da ogni angolo della Russia. Uno spettacolo pilotato che non lo vede mai davvero in difficoltà, che gli permette di concentrarsi sugli aspetti positivi dell’anno trascorso e che certamente domani lascerà ampio spazio alla celebrazione patriottica del ritorno della “sacra” Crimea alla madrepatria.
In cerca di risposte
Ma come dimostra il crollo del rublo, mai come questa volta i russi avranno bisogno di risposte. Nel discorso alla nazione del 4 dicembre, Putin aveva affrontato il problema del rublo minacciando di «far passare agli speculatori la voglia di giocare» con la moneta russa. Che, da quel giorno, ha proseguito il suo declino. Che dirà Putin, come potrà rassicurare i suoi? Le iniziative a cui ha accennato in quel discorso al Cremlino - un’amnistia per far rientrare i capitali, agevolazioni fiscali alle piccole e medie imprese - non sembrano aver convinto. I discorsi degli anni passati non erano molto diversi.
Ma se questa situazione durerà a lungo, tutto quello che Putin ha realizzato nei suoi primi anni verrà messo in pericolo. Le riserve della Banca centrale o dei fondi sovrani cresciuti sui proventi del petrolio non basteranno in eterno a sostenere il rublo o le grandi imprese e le banche che, il prossimo anno, dovranno trovare 134 miliardi di dollari per rispettare le scadenze sui debiti.
Nel novembre scorso, a Pechino, Vladimir Putin consegnò al presidente cinese Xi Jinping un pacchetto, con uno smartphone Yota: il primo telefonino al mondo con due schermi (di cui uno consultabile anche a batteria spenta, in stile Kindle). La dimostrazione che un brand russo può far parlare di sé nel mondo anche al di fuori dell’export di gas. Ma ci sono troppe poche Yota in Russia, per ragioni che gli economisti non fanno che ripetere nelle loro analisi, puntando il dito sulla presenza soffocante dello Stato e della sua burocrazia, l’ossessione per il controllo, la corruzione, la mancanza di investimenti, la diffidenza verso le riforme e l’iniziativa privata che ora dovrà scontare anche un costo del denaro proibitivo, oltre al gelo con l’Occidente.
La via d’uscita dalla crisi passa per ciascuno di questi aspetti, e si potrebbe riassumere nel tweet con cui Aleksej Kudrin, l’ex ministro delle Finanze uscito dal governo perché?in disaccordo con il ritmo troppo lento delle riforme, ieri ha commentato la scelta della Banca centrale:?«Una mossa a cui il governo deve far seguire misure che rafforzino la fiducia degli investitori nell’economia russa».
Antonella Scott

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Il Sole 24 Ore,
Finora erano proseguiti più o meno a braccetto, nel loro declino:?ma ieri, in quello che è stato definito un “giorno del giudizio” per la Russia, il destino del rublo è sembrato svincolarsi dai prezzi del petrolio, per innescare una vera caduta libera. Malgrado sia Brent che Wti avessero proseguito la discesa, infrangendo il primo quota 59 dollari il barile e il secondo 53:?per poi però recuperare e chiudere in rialzo, Brent sopra i 60 dollari e Wti a 55,93. 
Per il rublo invece nessuna tregua; travolta la Borsa di Mosca, che ieri ha perso il 19%. La situazione «critica» che sta vivendo sui mercati valutari «non sarebbe stata immaginabile un anno fa neppure nel peggiore degli incubi», ha detto Serghej Shvezov, vicepresidente della Banca centrale russa. E questo ormai non ha più a che fare solo con il calo del petrolio o con il carico delle sanzioni venute con la crisi ucraina. Il crollo del rublo è crollo di fiducia nelle possibilità di questa Russia isolata - e della sua Banca centrale - di trovare una via d’uscita. Tanto che il Cremlino potrebbe ricorrere a una soluzione estrema, tornare a imporre controlli sui capitali:?il rischio che avvenga ha aggravato ulteriormente la sorte del rublo. 
Superata quota 100 sull’euro:?la moneta russa ha infranto una barriera impensabile fino a due giorni malgrado la mossa spettacolare di Bank Rossii, che la notte precedente aveva portato i tassi di interesse dal 10,5 al 17% nel tentativo disperato di interrompere il crollo del rublo, non sarebbe bastata. L’effetto si è esaurito in poco tempo malgrado il governatore Elvira Nabiullina avesse parlato di un rublo chiaramente sottovalutato. Dopo poco, è tornato a precipitare verso nuovi minimi assoluti:?superati gli 80 rubli contro il dollaro, e quota 100 contro l’euro, più che dimezzato il suo valore da inizio anno. Prima di risalire intorno a quota 90 sull’euro e 72 sul dollaro. 
La mossa della Banca centrale, ha spiegato il ministro dell’Economia Aleksej Uljukajev al termine di una riunione convocata dal primo ministro Dmitrij Medvedev con i ministri economici ed Elvira Nabiullina, è stata tardiva, ma darà risultati accanto alle misure a cui Uljukaev ha accennato senza però specificare. Limitandosi a chiarire che nella riunione non si è discusso di controlli sui capitali. 
Per cercare di contenere le perdite, la Banca centrale ha speso finora 80 miliardi di dollari:?ed è proprio questo assottigliarsi delle risorse che alimenta il panico, perché le basi finanziarie su cui può contare la Russia - tra riserve della Banca centrale e fondi sovrani - non consentono per ora paragoni con la crisi del ’98 ma saranno messe alla prova del tempo che il petrolio impiegherà a risalire, e delle scadenze sui debiti di banche e imprese che non possono più contare sui finanziamenti internazionali, a causa delle sanzioni. 
Il Cremlino ha promesso loro aiuto mentre il ministro degli Esteri, Serghej Lavrov, è tornato alla carica degli Stati Uniti, accusandoli di destabilizzare la situazione con le sanzioni per forzare un cambio di regime a Mosca. Che, secondo Lavrov, «ha sopravvalutato l’indipendenza della Ue e di alcuni grandi Paesi europei dagli Usa». In serata, da Washington arriva la notizia che Barack Obama si appresta a firmare entro la settimana l’autorizzazione a nuove sanzioni contro la linea seguita da Mosca in Ucraina. Per il rublo, si prepara una nuova giornata di passione.
Antonella Scott

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la Repubblica,

Doveva essere l’antidoto per proteggere l’euro dal virus della deflazione. Doveva: invece rischia di venire meno e complicare un po’ di più il percorso dei prossimi mesi per l’Europa e per l’Italia. L’area euro punta da tempo a tassi di cambio su livelli più contenuti, ma l’instabilità finanziaria in Russia e i tremori sismici nelle monete delle grandi economie emergenti spingono verso esiti esattamente opposti. Un euro più debole sui mercati globali è da mesi è l’obiettivo, implicito, di gran parte dei governi e dei banchieri centrali europei. La Bce ha fatto molto quest’anno per avanzare in questa direzione: con il taglio dei tassi, le iniezioni straordinarie di liquidità e l’avvio di un piano massiccio di acquisti di titoli sui mercati, la banca guidata da Mario Draghi è riuscita indurre un effetto collaterale prezioso: una scivolata dell’euro sul dollaro di quasi il 13% da marzo scorso alla metà di questo mese.
È stata una delle poche buone notizie di un 2014 in cui l’Europa ha mancato la ripresa e ha visto la dinamica dei prezzi finire in ibernazione a quota zero. Un moneta più debole può aiutare molto, in una situazione del genere. Facilita l’export di prodotti europei verso il resto del mondo, perché ne rende i prezzi più competitivi in valuta locale, dunque favorisce l’occupazione, i consumi e gli investimenti in Europa. Ha anche un altro effetto, che la Bce persegue ormai quasi apertamente: rendendo un po’ più cari i beni importati, può impedire che l’indice dei prezzi crolli in una deflazione nella quale famiglie e imprese bloccano consumi e investimenti nell’attesa di prezzi più bassi domani.
Se questo era il contributo che il tasso di cambio doveva portare, non sta solo venendo meno nel pieno del terremoto finanziario russo. Si sta invertendo nel suo contrario, e diventa un ostacolo in più nella lotta contro la deflazione. L’indice della moneta unica pubblicato dalla Bce, ponderato in proporzione sulle valute delle economie con le quali l’Europa commercia, mostra che da fine settembre il valore dell’euro sul resto del mondo si è apprezzato dell’1,5% anche mentre la moneta unica accelerava la caduta sul dollaro. In altri termini, gli europei hanno avuto l’illusione di una svalutazione della loro moneta perché si sono concentrati sul valore relativo al biglietto verde. Da fine settembre però accade il contrario: nel complesso degli scambi mondiali, l’euro si sta rafforzando.
Il terremoto di queste ultime settimane, con epicentro a Mosca ma scosse in altre aree emergenti, non fa che accentuare queste tendenze. Solo nell’ultimo mese la Russia ha svalutato sull’area euro del 63%, la Turchia del 10%, l’Indonesia del 7,3%, l’India del 5,4%. Svalutazioni intorno ai due punti si sono poi viste anche nei Paesi d’Europa centro-orientale e adesso anche sul dollaro stesso. Quasi metà del genere umano ed economie che nel 2013 sono arrivate a pesare molte decine di miliardi di euro per il «made in Italy», stanno di nuovo perdendo potere d’acquisto. E questa tempesta di fine anno erode parte delle conquiste della Bce per l’intero 2014. Non era previsto che andasse così, non con questi ritorni improvvisi di febbrilità. Invece ieri gli indici finanziari hanno fluttuato paurosamente: le Borse europee hanno chiuso in territorio nettamente positivo (Ftse-Mib a più 3,2%, Dax 30 di Francoforte a più 2,46%) dopo aver segnato forti perdite a metà seduta. È un ritorno di instabilità che lo stesso eccesso di calma dei mesi scorsi lasciava presagire. Fino a pochi giorni fa il Vix, l’indice della volatilità, aveva vissuto il suo anno più tranquillo dal 2006. Ora l’orizzonte è irriconoscibile: lo spettacolo di questi giorni ricorda quello delle crisi del debito dei Paesi emergenti di fine anni ’90, con le banche centrali di Mosca o di Ankara che alzano disperatamente i tassi d’interesse su economie in frenata, senza riuscire ad arrestare la continua caduta del cambio.
Se questi giorni ricordano quelli di allora, non è solo un caso. Allora come oggi, i Paesi che emergono dal comunismo o dalla povertà si trovano carichi di debiti denominati in dollari alla vigilia di una stretta monetaria della Federal Reserve. Le imprese russe hanno 590 miliardi di debiti in dollari con le banche occidentali e il loro peso è di fatto raddoppiato in poche settimane con il crollo del rublo. La Banca dei regolamenti internazionali stima che a metà di quest’anno i debiti in valuta estera dei Paesi emergenti fossero di circa 5.000 miliardi di dollari: ogni giorno di svalutazione della rupia indiana o indonesiana, dello yuan cinese, della lira turca o del baht thailandese non fa che rendere più insostenibile questi oneri, allontandando gli investitori e affondando ancora di più le monete emergenti. L’Italia è in parte al riparo, perché la sua esposizione diretta sulla Russia non supera i 27 miliardi di dollari. Ma oggi stesso la Federal Reserve dovrà fare più chiarezza sulla sua stretta monetaria del 2015, e nessuno può illudersi di averne già visto tutte le conseguenze.
Federico Fubini