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 2014  dicembre 09 Martedì calendario

Dalle parentopoli in Ama e Atac agli ex fascisti in Campidoflio fino ad arrivare a Carminati, che nega di aver mai incontrato né conosciuto. Tutti i pasticci di Gianni Alemanno

In ordine di creazione, Lupomanno perché gli legarono le manette a un termosifone dopo che da ragazzo dal cuore nero e la celtica al collo lo beccarono a lanciare molotov contro l’ambasciata sovietica; Retromanno perché vagheggiava di teche di Ara Pacis smontate e di Festival del cinema romani autoctoni per poi desistere; Aledanno perché durante la sua amministrazione la Capitale divenne vittima di calamità naturali; Alemagno perché siglò la pace con Umberto Bossi addentando rigatoni alla vaccinara dinanzi Montecitorio e Brancalemanno (intuizione di Dagospia) perché arruolava un’armata Brancaleone in Campidoglio. E adesso quest’elenco, che appare persino divertente se non consideriamo i risvolti giudiziari, va aggiornato, ampliato e sigillato con la ceralacca. Perché l’ex sindaco di Roma Gianni Alemanno, indagato per associazione mafiosa, ha rimosso il macigno Massimo Carminati con un semplice non sapevo, però ebbi la premura di avvisare: «Io non ho mai conosciuto Carminati e un anno e mezzo fa, dopo aver letto articoli di stampa, avevo messo in guardia i miei collaboratori: mi hanno giurato che non ci avevano a che fare». Che ardore, che mano ferma.   
Lo stesso Alemanno, seppur sdoppiato o smemorato o tremendamente sbadato, s’è circondato in Campidoglio di ex fascisti con trascorsi da galeotti, ha infilato la conventicola di Carminati in società pubbliche, ha sonnecchiato (o peggio) mentre l’Ama (rifiuti) e l’Atac (trasporti) assumevano oltre 1.500 dipendenti a chiamata tra ex militanti e consanguinei. In questi giorni, Alemanno va spesso in televisione a declamare la sua difesa, che riduce a “distrazione”. Ha smentito con veemenza di aver trasferito denaro in Argentina con grosse valigie, come viene spifferato al telefono da Luca Odevaine. Alemanno ha ammesso di aver trascorso un capodanno in Patagonia, per ammirare i ghiacciai. L’uomo è un appassionato dei paesaggi suggestivi. Ha scalato 5.700 metri del monte tibetano Shishapangma. Sempre per festeggiare l’anno nuovo, da ministro per l’Agricoltura nel 2002, preferì rilassarsi in Zanzibar, a Dongwe, con la famiglia. Il conto fu impegnativo, 14.253 euro. Per fortuna, il viaggio era offerto da Parmatour (cioè Parmalat) di Calisto Tanzi. Ci fu il classico scandalo, e restituì la somma.
A Eur spa, un’azienda che gestisce un patrimonio di centinaia di milioni di euro, ci ha spedito quel Riccardo Mancini, il suo fidato tesoriere, che non aveva mai negato l’amicizia con Carminati. Mancini è finito in carcere prima dell’ex estremista di destra, “er cercato”, due anni fa, per una tangente da 600.000 euro per una commessa di filobus. E Carminati, da fuori, si premurava di chi stava dentro: “Ce la fa a tenersi er cecio al culo?”.
E per i rifiuti Ama, c’era Franco Panzironi, che la retata di “mafia capitale” ha trascinato in galera, ma che i magistrati già tampinavano per Parentopoli. E Antonio Lucarelli, il capo segreteria in Campidoglio, l’intermediario che Carminati fa incontrare a Salvatore Buzzi, era cresciuto in Forza Nuova.    Come governava la Capitale l’ex missino Gianni, figlio di un generale dell’esercito? A settembre 2009, fa levitare Stefano Andrini ai vertici di Ama Servizi Ambientali, un picchiatore di destra che, appena maggiorenne e assieme al fratello gemello, pestò due “compagni” davanti al cinema Capranica, e fu condannato a quattro anni e mezzo per tentato omicidio. Andrini non c’entra nulla con la cupola mafiosa di Carminati, ma fu costretto a lasciare perché coinvolto in un’inchiesta sulla falsa residenza all’estero dell’ex senatore Nicola Di Girolamo. Il posto di Andrini lo prese Giovanni Fiscon, che da una settimana è nei penitenziari romani. Il Gip Flavia Costantini, nell’ordinanza, evidenzia “la condotta di Alemanno in occasione della nomina in Ama del consigliere Giuseppe Berti, espressione del gruppo di interessi del sodalizio. Così come significativo il suo partecipare all’attività che ha condotto direttamente alla nomina di Giovanni Fiscon”.  
Le confessioni tra i personaggi di “mafia Capitale” e il mandato di Alemanno in Campidoglio sono fittissime, e citiamo anche un terzetto di inquisiti, il consigliere comunale Giovanni Quarzo e l’ex assessore Marco Visconti nonché l’ex capogruppo regionale Luca Gramazio. Questo è il romanzo criminale che leggiamo a fatti compiuti o (si spera) interrotti, ma com’è assurto al Campidoglio l’ex ministro che aderì alla svolta di Fiuggi tradendo il suocero Pino Rauti? Prima di affrontare e battere Francesco Rutelli, Alemanno perse con Walter Veltroni.
Ci riprovò due anni dopo – era il 2008 – sfruttando la paura di una città che piangeva la morte di Antonella Reggiani, brutalmente violentata e ammazzata a Tor di Quinto. Fu il sindaco dei tassisti, che videro in Gianni il salvatore dopo le liberalizzazioni di Pier Luigi Bersani. C’erano tanti energumeni di destra a salutare a braccio teso il camerata Gianni, che afferrò la fascia tricolore grazie a 55.000 mila voti che, tra il primo turno e il ballottaggio, passarono da Rutelli a sé medesimo. L’ambo fortunato sulla ruota di Roma, un misto di destra e sinistra, era Alemanno in Campidoglio e Nicola Zingaretti alla Provincia: era il voto disgiunto. Insaccato il potere, Alemanno incaricò l’ex spione Mario Mori, a processo per la trattativa Stato-mafia, di vigilare sulla sicurezza di Roma. Quando una coppia di olandesi fu aggredita a Ponte Galeria, il sindaco fintamente sceriffo disse che la zona era pericolosa, che furono imprudenti. La rettifica pervenne da Isabella Rauti, la moglie, capo dipartimento alle Pari Opportunità. L’improvvido Alemanno ha galleggiato male tra nubifragi (“180 millimetri d’acqua e 7.000 fulmini”) e nevicate (“Gli alberi non sono abituati”), s’inventò spalatore di fiocchi bianchi e produttore seriale di divieti per lavavetri, locali notturni, venditori di panini e borse. Come poteva, pover’uomo, notare gli affari sporchi di Carminati&Buzzi? E poi quel Buzzi, personcina tanto carina, che all’ultima campagna elettorale, su commissione di Panzironi, gli organizzò una claque di 50 persone. E s’è pure disperato per la sconfitta con Ignazio Marino, “se vinceva Alemanno, ce l’avevamo tutti comprati”.