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 2014  dicembre 05 Venerdì calendario

L’ultima chance per Marino. Ora può rammendare la città ferita. Ci vuole un chirurgo forestiero, che non parli il vernacolo del «Cecato» Carminati, dei trafficanti d’anime ex fascisti tramutati in caricature di amministratori, ma neppure di quel Pd romano che esce a pezzi dall’inchiesta

Talvolta essere marziani non guasta. Sicché il destino pare concedere al sindaco di Roma, Ignazio Marino, una paradossale opportunità: forse l’ultima. Rammendare la città ferita appunto grazie alla propria estraneità ad essa. Ci vuole un chirurgo forestiero, che non parli il vernacolo del «Cecato» Carminati, dei trafficanti d’anime ex fascisti tramutati in caricature di amministratori, ma neppure di quel Pd romano che esce a pezzi dall’inchiesta di Pignatone e dei suoi pm. Marino, il genovese di madre svizzera piovuto dall’America e magari scelto proprio da taluni strateghi democratici capitolini con l’idea che fosse facile da controllare – più pupo che Papa straniero – è forse quel tipo di chirurgo: o almeno è sperabile che lo diventi, infine. L’operazione che deve tentare è difficilissima.
Su una Roma già in ginocchio, sommersa di rifiuti e paralizzata dal traffico anche per sua colpa, Mafia Capitale è stata l’ultima bastonata. Scoprire dall’indagine che persino la politica sui migranti e sui nomadi – di recente di nuovo impugnata da certo centrodestra come un’ascia bipenne nelle periferie inquiete – fosse concordata con gli uomini di Carminati è devastante. Pare non ci fosse emergenza, neppure la rimozione delle foglie, non contrattata da questa specie di consorzio del male formato da politici, burocrati e criminali. E certo al centro della tempesta vediamo il profilo di Gianni Alemanno, dei suoi fedeli Panzironi e Mancini, insomma di quel milieu che si prese il Campidoglio nel 2008 tra saluti romani e voglia di recuperare finalmente tanti anni di affari perduti.
Ma il problema è che anche l’altra parte gestiva quegli affari, perché la mafia non sta né a destra né a sinistra, sta con chi vince. Sicché i democratici della Capitale e i loro alleati di giunta vedono cadere Luca Odevaine, che fu vicecapo di gabinetto di Veltroni, l’assessore Ozzimo, il presidente del consiglio comunale Coratti, un consigliere regionale e perfino il responsabile della commissione... Trasparenza. Vedono danzare nelle intercettazioni (magari sul filo delle millanterie) nomi prestigiosi come Lionello Cosentino e Luigi Nieri. Anche la campagna elettorale di Marino viene finanziata dal braccio economico di Carminati, il «compagno» Salvatore Buzzi, signore delle coop, con 30 mila euro, ma si capisce che i mafiosi non sanno ancora come acchiappare quello strano sindaco che lanciò per grido di battaglia «daje», caricatura di romanità da non romano.
Marino si trova ora davanti alla porta quel Pd che voleva giubilarlo, a chiedergli con Orfini di farsi simbolo di riscatto. Ha consegnato appalti sospetti a Cantone e se stesso al prefetto Pecoraro, che dovrà determinare il futuro del consiglio comunale in odor di Carminati. Ma ai romani che non l’hanno amato, che ridono della sua Panda rossa e del suo essere altrove in ogni momento topico (non a Tor Sapienza ma a Londra, per dire), la sua alterità può apparire, per la prima volta, un salvagente nella palude.