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 2014  novembre 25 Martedì calendario

Con gli Italiani voltagabbana, Bruno Vespa «denuncia sine ira et studio, con implacabile meticolosità, i versipelle di un Paese che ha dato i natali non solo a Cagliostro e Maramaldo, ma anche a Pétain e a Fregoli. Niente di male, per carità. Chi non cambia mai idea è un cretino, ma può anche essere un uomo tutto d’un pezzo, che dice quello che pensa e pensa quello in cui crede»

"Duce, vorrei che tu fossi una donna per poterti baciare sulla bocca” avrebbe detto il giovane Indro Montanelli quando in buonafede, la buonafede dei vent’anni, si hanno ideali, anche sbagliati, si crede nelle utopie, anche chimeriche, si plaude all’ “Uomo della Provvidenza”, anche se alfiere di lutti e sciagure. Ma Indro, mio indimenticabile Maestro e amico, non fu voltagabbana perché nel 1939, in piena apoteosi littoria, ad onta delle abominevoli leggi razziali, strappò la tessera del partito che tanti intellettuali, quasi tutti, seguitarono a ostentare e a sfruttare.
Bruno Vespa, più prolifico di mia nonna, che mise al mondo sedici figli, ha sfornato un altro libro, Italiani Voltagabbana (Mondadori), che non avrà la fortuna dei precedenti, che ne ebbero a iosa, ma di più. È una gran bella lettura, che non sto qui a raccontarvi per mancanza di spazio.
Non vi segnalo niente perché vi raccomando tutto, ma su un capitolo riflettete: TUTTI FASCISTI, TUTTI ANTIFASCISTI, che richiama la sulfurea e sacrosanta battuta di Flaiano o di Longanesi (non ricordo): “I fascisti si dividono in fascisti e antifascisti”. Battuta pronunciata nel dopoguerra quando l’Italia da un giorno all’altro, dopo il 25 luglio del 1943, fu liberata dal tiranno romagnolo, messo in minoranza dal Gran Consiglio e fatto arrestare da “re sciaboletta”, il più illustre traditore della Nazione insieme al vanesio e inetto fellone maresciallo Badoglio.
Vespa, che con buona pace dei suo detrattori, che lo invidiano perché vorrebbero essere al suo posto, avere il suo prestigio mediatico, godere della sua popolarità (diciamo le cose come stanno) è un fior di giornalista. Perché solo un fior di giornalista, con le palle, denuncia sine ira et studio, con implacabile meticolosità, i versipelle di un Paese che ha dato i natali non solo a Cagliostro e Maramaldo, ma anche a Pétain e a Fregoli. Bravo, Bruno: fottiti (scusa il termine) di chi vorrebbe fottere te e continua a fare le pulci ai tromboni, ai mentitori, ai moralisti, la peggiore genia che ammorba il nostro Paese, o quel che, per colpa di questi tartufi e cafoncelli, ne rimane.
Fra gli “intoccabili” tu sfruculi, e fai bene, l’insigne professor Norberto Bobbio, nume tutelare degli azionisti, razza per fortuna estinta: “Da studente era iscritto al Guf, l’organismo universitario fascista, e poi aveva mantenuto la tessera del partito per insegnare. Colpito per frequentazioni non sempre ortodosse da una lieve sanzione che avrebbe potuto comprometterne la carriera, cercò ovunque raccomandazioni per emendarsi.
Suo padre Luigi si rivolse al Duce, lo zio al quadrumviro De Bono, lo stesso giovane docente a Bottai (con ’devota fascistica osservanza’). Fu interessato anche Giovanni Gentile, che intervenne con successo presso Mussolini. Alla fine, Norberto ebbe la cattedra tanto desiderata”. “Cosa si fa per campare” avrebbe detto il mio amico Totò.
Non contento, Vespa fa le pulci anche ad altri due santoni dell’antifascismo, Eugenio Scalfari, vicario laico di Cristo, e interlocutore privilegiato di papa Francesco, e Giorgio Bocca, il “Savonarola di Cuneo”, l’eroico aedo con Pertini (che, però, si fece anni di confino e di galera) della Resistenza, alla cui retorica da settant’anni resistiamo.
"Barbapapà”, grande, grandissimo direttore, il più geniale del dopoguerra (quanto ci costa riconoscerlo) non lesinò ditirambiche lodi al “puzzone” sulle colonne di “Roma fascista”. Come l’enfant prodige Giovanni Spadolini, e tanti altri che vi risparmiamo.
Quanto a Giorgio Bocca, questo episodio non lo dipinge: lo scolpisce. Scrive l’impassibile e documentatissimo Vespa: “Il 5 gennaio 1943 Bocca aveva incontrato in treno sulla linea Cuneo-Torino l’industriale Paolo Berardi, il quale diceva ad alcuni reduci dalla Russia e dalla Francia che la guerra era ormai perduta. Giorgio ascoltò, poi gli diede un ceffone e lo denunciò alla polizia per disfattismo”.
Il cataro Bocca aveva allora ventitré anni ed era già intelligentissimo, precoce in tutto, in grado d’intendere e di volere.
Niente di male, per carità. Chi non cambia mai idea è un cretino, ma può anche essere un uomo tutto d’un pezzo, che dice quello che pensa e pensa quello in cui crede.
Noi, che abbiamo fatto un mucchio di sciocchezze e commesso una infinità di errori, siamo nati liberali, siamo sempre stati liberali e, demenza senile permettendo, liberali moriremo. In una mano il tricolore, nell’altra il Kamasutra, la nostra Bibbia erotica, le corrusche insegne della mia vita: la democrazia e Venere.
Lettrici e lettori, non perdete tempo. Tutti in libreria, tutti a godersi questa chicca, uscita dalla Premiata Ditta Bruno Vespa.