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 2014  novembre 25 Martedì calendario

Via i pini, ecco i tigli: così cresce in città il nuovo skyline verde, che resiste anche all’inquinamento

Belli ma fragili, i nostri alberi sono diventati giganti con i piedi d’argilla. Magari sono ancora imponenti e fronzuti, ma pieni di dolori e reumatismi. Inadatti a queste lande di asfalto sempre più calde e piovose, a questa terra a volte molliccia a volte arida, comunque franosa. Sarà dura da accettare, ma secondo gli esperti è una realtà ineluttabile, come la causa che li condanna alla scomparsa. Il cambiamento climatico rivoluzionerà lo skyline verde dei viali d’Italia.
Dovremo dire addio a molte delle fronde mediterranee: pini, olivi, carpini, platani, querce, ma anche palme e bouganville. I Comuni li stanno sostituendo con piante più resistenti. Da Palermo a Torino, i prossimi venti o trenta anni trasformeranno i lineamenti delle nostre foreste urbane. «In tutta l’Italia del nord il riscaldamento globale sta minacciando i carpini – dice Paolo Gonthier, esperto di patologia vegetale e presidente della Società italiana di arboricoltura – secondo alcuni studi l’aumento delle temperature avrebbe favorito la diffusione di un fungo, l’anthostoma decipiens, e proprio in ambiente urbano». A Monza, Arcore, Cesano Maderno ne ha decimati centinaia. Come le betulle e gli olmi. «Entro fine 2015 pianteremo 40 mila nuovi alberi, soprattutto tigli e magnolie», dicono dall’assessorato all’ambiente di Milano.
Molte strade italiane però si spopoleranno dei fusti tipici. Almeno di quelli pericolanti e affogati dall’asfalto, troppo vecchi e ormai incompatibili con un habitat diventato ostile per lo smog e un’urbanizzazione aggressiva, ma soprattutto perché sottoposto a fenomeni meteorologici estremi sempre più frequenti. «I mutamenti climatici – dice Alessia Bettini, assessore all’ambiente di Firenze – ci stanno costringendo a rivedere molte delle nostre abitudini. Gli esperti ci dicono che ci obbligheranno anche a cambiare volto al nostro paesaggio urbano. In ballo c’è la sicurezza dei cittadini». Così, sui viali disegnati nel 1865 dall’architetto Giuseppe Poggi nel capoluogo toscano, al posto dei pini sorgeranno olmi, cipressi, frassini, tigli o bagolari, oppure ginkgo biloba. A Forlì hanno puntato su peri e ciliegi. «Come quasi tutti i fusti del Mediterraneo, i pini – dice Pietro Rubellini, responsabile del verde a Firenze – hanno radici superficiali che si estendono di pari passo con le chiome. Bombe d’acqua, temperature sopra la media stagionale, ma anche nevicate non sono un problema in ambienti marini o nei parchi, ma in città è tutta un’altra storia. Le fondamenta di questi giganti sono ostacolate da cemento, tubazioni e cavi elettrici. Moltissimi sono a rischio crollo». A Napoli e Roma dal 2009 ad oggi hanno fatto tre vittime, due solo nella Capitale e sempre sulla stessa direttrice, la Cristoforo Colombo. «Gli alberi con radici di profondità danno più garanzie – dice Tommaso Sodano, vicesindaco di Napoli e agronomo – Ma paghiamo anche errori di pianificazione fatti in passato. Piantati oltre 50 anni fa in strade strette e su marciapiedi di un metro, i nostri platani oggi sono un pericolo».
Ma non sempre è il rischio di cadute a spingere al rinnovamento vegetale. L’umidità, nel centro Italia, sta infestando le querce di oidio, un parassita che le priva delle foglie e dunque della capacità di catturare anidride carbonica e di rilasciare ossigeno. Hanno un guaio simile a Bologna con gli ippocastani. «Trecento piante sui viali di circonvallazione – dice Patrizia Gabellini, assessore all’ambiente – soffrono di problemi fitosanitari che ne limitano l’efficienza ecologica. In piena estate perdono le foglie e rifioriscono in autunno, senza dare alcun contributo al microclima locale». I lungomare partenopei, della Liguria di Ponente e siciliani hanno perso il 90% delle palme sotto i colpi di un insetto, il punteruolo rosso. «Abbiamo rimediato con la palma da dattero», dice Francesco Maria Raimondo, assessore al verde e direttore dell’Orto botanico di Palermo. «Ormai siamo quasi una terra tropicale, per questo stiamo sperimentando l’Ipè argentino, la Tipuana tipu e la Jacaranda, due specie del Sud America molto ornamentali e già in voga a Siviglia».