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 2014  novembre 25 Martedì calendario

Il coleottero killer di api. L’Aethina Tumida entra nell’alveare, «comunica» con le operaie e riesce a farsi nutrire da loro, poi depone le uova e dopo pochi giorni nascono le larve. Intanto gli apicoltori bruciano arnie per sterminarlo

Da anni gli apicoltori italiani temevano l’arrivo di un terribile parassita dall’Africa: ora è arrivato ed è in Sicilia e Calabria, «zona rossa» nella quale i roghi degli alveari sono cominciati; bisogna sigillarli, accatastarli e bruciarli, poi arare il terreno e cospargerlo di pesticidi anti-larvali. L’epidemia si allarga: per ogni arnia se ne vanno dalle 50 alle 100 mila api e forse è una strage inutile perché non si sa se il coleottero porti o no al collasso un alveare. Negli Stati Uniti, in Canada e Australia ci convivono, noi – lamentano molti apicoltori costretti a bruciare le loro «creature» – li stiamo sterminando senza che le autorità sanitarie abbiano studiato il fenomeno.
Il micidiale parassita si chiama Aethina Tumida o Piccolo coleottero degli alveari, si nutre di polline e miele, lo fa fermentare e lo rende invendibile: entra nell’arnia, «comunica» con le operaie e riesce a farsi nutrire da loro, depone le uova e dopo pochi giorni nascono le larve che escono e cadono nel terreno per trasformarsi in insetti adulti e completare il ciclo. Gli insetti colonizzano molti apiari e si spostano volando anche a 15-20 km di distanza, attirati dall’odore delle arnie.
Inutile dire che le api interessano tutti, sono fondamentali per l’equilibrio ecologico (per l’impollinazione e quindi per frutta, verdura e per l’erba medica di cui si nutrono gli allevamenti di bestiame). Se vanno in crisi loro, sarebbe un disastro per l’agricoltura e andremmo immediatamente in crisi anche noi. Siamo tutti coinvolti.
Invece si rischia l’estinzione delle api italiane (Apis Mellifera Ligustica Spinola), in questo momento sospese tra la vita e la morte come «Il gatto di Schrödinger», bel romanzo di Philippe Forest tradotto da Gabriella Bosco (Del Vecchio editore) che, interrogando i «paradossi» della meccanica quantistica, diventa metafora della condizione umana. Qui l’allegoria è la prevenzione mancata: si va «a muzzo», come direbbero in Sicilia, alla cieca come il Capitano della canzone di De Gregori, «tutto muscoli e metano», cieco e sordo sul cassero: «Capitano – gli dice il mozzo – io non te lo volevo dire, ma c’è in mezzo al mare un’enorme donna bianca».
E lui risponde: «È solo un po’ di nebbia, andiamo avanti tranquillamente», versione pop dello «State sereni». Cambiamo rotta e in tanti ringrazieranno sentitamente… Anche le api.