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 2014  novembre 25 Martedì calendario

«È inutile! Quando penso a tutto quello che è successo prima del dopo di allora, dopo del prima di adesso, non capisco più niente. Divento decadente. Amo il sole morente, il salice piangente, la torre pendente, la stampa indipendente, la classe dirigente, i valori dell’Occidente, il Presidente anche della Regione e del Consiglio di Amministrazione dell’Ente…». Quando il vuoto si nasconde dietro le parole.

Ci sono casi in cui le parole rischiano di consumarsi nell’uso eccessivo, al punto da suggerire una tregua lessicale. Di ritorno da un viaggio a Parigi, lo statista austriaco Klemens von Metternich disse: «Sono così stomacato dall’abuso che i francesi fanno della parola fraternità che se avessi un fratello lo chiamerei cugino». Lo ricorda il pamphlettista ed ex manager Claudio Nutrito in un gustoso libro dal titolo più che mai significativo: Quant’altro (Novecento Editore), sulle cosiddette «parole di salvataggio» che servono a parlare quando si ha poco (o niente) da dire. Parole da talk show, che spesso strappano l’applauso.    
«Quant’altro» evita la difficoltà dell’elencazione facendo credere di saperla lunga, ma lasciando agli altri il compito di capire che cos’è il quanto e cosa l’altro, ammesso che davvero ci sia dell’altro. La «risorsa» abbonda sulle labbra degli sciocchi: sono una «risorsa» in primo luogo i giovani, ma anche i nonni e le nonne, ma anche i cinquantenni. Diventare «risorse umane» è più complicato, con la crisi economica: quelle esistenti vanno comunque «monitorate con attenzione», perché «monitorare» è il massimo dell’efficienza aziendale. Viceversa, «solidarietà», «sobrietà», «sostenibilità» sono le regine del lessico «a chilometro zero», ecocompatibile, «a misura d’uomo», cioè quella ricca area semantica che esibisce una profonda e sofferta coscienza civile. Sarebbe auspicabile essere «flessibili», «connessi», «moderati», possibilmente «smart» e sempre (dicasi sempre) «dalla parte dei più deboli e delle famiglie».
   A proposito del vuoto che si nasconde dietro certe parole, sarebbe da rileggere la summa satirica e antiburocratica Misteri dei Ministeri di Augusto Frassineti (1911-1985), anche per verificare l’attualità del «ricorso», dell’«esposto» e del «promemoria» ministeriale. Ma intanto le Edizioni dell’Asino ripropongono il poemetto Vita vita vita, in cui Frassineti si fa beffe dell’assurdo acquattato nel linguaggio corrente: «È inutile! Quando penso a tutto quello che è successo prima del dopo di allora, dopo del prima di adesso, non capisco più niente. Divento decadente. Amo il sole morente, il salice piangente, la torre pendente, la stampa indipendente, la classe dirigente, i valori dell’Occidente, il Presidente anche della Regione e del Consiglio di Amministrazione dell’Ente…». Sotto il vestito (delle parole), niente. O quant’altro?