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 2014  novembre 24 Lunedì calendario

La rivolta dei braccianti del tè indiani, che per colpa della crisi, non ricevono da mesi la paga. E dire che guadagnano 1,20 euro al giorno...

La paga per i braccianti delle piantagioni di tè di Darjeeling, la località nel nord est dell’India famosa in tutto il mondo, è di 90 rupie al giorno, ovvero 1,20 euro. Ma gli oltre 300 lavoratori della Sonali Tea Estate non ricevevano da diversi mesi neppure questa misera ricompensa. Colpa della crisi che da anni affligge l’industria del tè, ma colpa anche dei possidenti delle piantagioni che si comportano come latifondisti del Medioevo o meglio come se fossero ai tempi del colonialismo britannico quando l’India iniziò la produzione commerciale di tè. Da circa una settimana i lavoratori avevano incrociato le braccia e organizzato un sit-in di protesta. La polizia racconta che il proprietario Rajesh Jhunjhunwala, 45 anni, sabato sera ha incontrato i dipendenti per trovare un accordo, «ma quando ha detto che non poteva pagare gli arretrati è stato aggredito». Gli operai hanno sfogato tutta la loro rabbia colpendolo con bastoni, coltelli e perfino pietre fino a lasciarlo senza vita. Sei sospetti, tra cui anche delle donne, sono stati arrestati. L’episodio ricorda quello successo nel dicembre del 2012 nel vicino Assam, un’altra «terra da tè», quando i braccianti esasperati per i ritardi nei pagamenti dei salari hanno bruciato vivi una coppia di possidenti. Se si pensa che il tè è la bevanda più consumata in India dopo l’acqua e che la domanda interna è in costante aumento, è difficile spiegare la profonda crisi del settore che ormai va avanti da più di un decennio. Sotto accusa è la speculazione internazionale, ma anche la mancata modernizzazione dell’industria rimasta come era nell’Ottocento. La situazione è allarmante nel West Bengala. Una Ong ha rivelato che 100 persone sono morte di stenti e malattie legate alla malnutrizione nei «tea garden» della regione di Dooars. I sindacati, che sono molto forti in questa parte dell’India, hanno chiesto un aumento della paga minima per i circa 200 mila lavoratori che vivono in condizioni di semi schiavitù nei «tea garden», oltre che a migliori condizioni abitative e cure mediche. Il loro salario è molto di meno dei braccianti nelle campagne.