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 2014  novembre 24 Lunedì calendario

È terrificante la condizione della minoranza cristiana nel Pakistan: 4 milioni, di cui 1 milione di cattolici, sommersi da una maggioranza musulmana di circa 180 milioni, intollerante e persecutrice. Episodi crudeli si susseguono senza che le potenze occidentali né il Vaticano siano riuscite a far sentire la loro voce

Terrificante la condizione della minoranza cristiana nel Pakistan (4 milioni, di cui 1 milione di cattolici, sommersi da una maggioranza musulmana di circa 180 milioni, intollerante e persecutrice). Episodi crudeli si susseguono senza che le potenze occidentali né il Vaticano siano riuscite a far sentire la loro voce. La piccola minoranza dei cattolici pakistani residenti a Roma – quasi tutti lavoratori emigrati – in vista del discorso del Papa a Bruxelles il 25 novembre si è rivolta al nostro giornale come residua speranza di espressione.
Crediamo sia nostro dovere raccogliere il loro appello. «Siamo i rappresentanti della “Comunità dei Cristiani” del Pakistan in Italia e ci rivolgiamo al vostro quotidiano perché vogliate rappresentare al popolo italiano la gravissima situazione che vivono i cristiani in Pakistan. Purtroppo, solo l’esplosione periodica della violenza, come la strage del 23 settembre scorso a Peshawar, che ha causato la morte di 80 cattolici, fa emergere la condizione di discriminazione e terrore che vive l’intera comunità cristiana del nostro Paese. Una comunità minoritaria, la cui sopravvivenza diviene sempre più difficile, a causa di aggressioni, violenze, persecuzioni continue, di cui gli atti stragisti sono solo il segno più evidente. Vogliamo citare, a titolo di esempio, alcuni fra i casi più noti: la violenza subita dai coniugi Shahzad Masih e Shama Bibi, che a Qasur, città del Nord Pakistan, sono stati ingiustamente accusati di blasfemia e, per questo, condannati a una morte atroce: arsi vivi in un forno per mattoni. Va altresì sottolineato che la donna era in stato di gravidanza. La condanna alla pena capitale, sempre per false accuse di blasfemia, di una donna, Asia Bibi, di cui in tempi recenti si è interessata la stampa internazionale. La donna è attualmente in carcere, in attesa dell’esecuzione. In Pakistan sono molto frequenti le condanne a morte per blasfemia, gli espropri ai danni dei cristiani, le devastazioni delle abitazioni e le discriminazioni sociali. Il fondamentalismo che ci aggredisce ed uccide con violenza, purtroppo si alimenta della complicità annidata nei gangli dello Stato pakistano, accrescendo, cosi, l’odio verso i nostri confratelli. L’ultimo episodio riguarda la condanna a morte del nostro confratello Sawan Masih per blasfemia, una condanna non giustificata da altro se non dall’odio. Sawan ha 26 anni e tre figli ed è stato denunciato da un vicino di casa. A seguito della denuncia, la comunità musulmana ha attaccato e distrutto 2 chiese e 200 case abitate da cristiani nel quartiere Joseph Colony di Lahore. Tutto questo è avvenuto senza che la polizia intervenisse a difendere i cristiani. Il tribunale, di primo grado, ha condannato a morte il nostro confratello. La blasfemia viene sempre più spesso utilizzata per colpire gli aderenti a religioni diverse da quella musulmana ed è vera e propria causa di persecuzione e genocidio della comunità cristiana. Spesso, dietro questa accusa, c’è la volontà di appropriarsi dei beni dei cristiani che vivono negli stessi distretti. Alla luce di quanto su esposto, facciamo appello alla vostra sensibilità, per far conoscere ancor più l’emergenza umanitaria che si è creata nel nostro Paese. Vi preghiamo di intervenire presso il governo del Pakistan, per salvare la vita del nostro fratello Sawan e di tutti i condannati ingiustamente; e per ricordare, come soltanto la pacifica coesistenza fra popoli e religioni diverse, basata sul mutuo riconoscimento e sul reciproco rispetto, può garantire pace e sviluppo economico e sociale».
Abbiamo pubblicato questa lettera perché crediamo che sia troppo flebile la voce che si alza per condannare queste ingiustizie e atrocità da parte del mondo occidentale e speriamo che nel discorso di papa Francesco a Bruxelles ci sia un invito alla stessa tolleranza e carità che viene giustamente richiesta a noi europei.